mercoledì 30 aprile 2008

Il re è nudo! Ovvero: se non diventerete come bambini.

Un re vanitoso, dedito alla perenne cura del suo aspetto esteriore e del suo abbigliamento.

Degli imbonitori che, sotto le mentite spoglie di abili tessitori, convincendolo delle loro straordinarie capacità, pontificano le qualità del formidabile tessuto che essi soli intessono, sottile, leggero e incomparabile, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni.

Uno stuolo di cortigiani che, pur non riuscendo a vedere il “formidabile” ordito, lodano la magnificenza del tessuto del sovrano.

Il re, che, pur rendendosi conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché (così come i cortigiani menzogneri), si mostra estasiato per il lavoro dei tessitori, al punto da sfilare col suo “nuovo vestito” per le vie della città tra nugoli di folla paludente che loda a gran voce l'eleganza del sovrano.

Un incantesimo che si spezza, quando, nella sua disarmante semplicità, un bimbo grida: “Il re è nudo!”.

Non occorre aggiungere altro. La notissima fiaba parla da sé.
Il re è nudo. Lo sapevamo? Lo abbiamo detto? Abbiamo avuto il coraggio di gridarlo? Oppure lo abbiamo fatto, ma non siamo stati ascoltati?
Sono stati giorni di repentini cambiamenti, in cui la realtà ha superato l’immaginazione, o, meglio le aspettative – tranne che per chi si era accorto, da tempo, che effettivamente il re era nudo e lo aveva detto – .
Analisi su analisi, l’unica verità è costituita dall’incapacità di leggere la realtà e mettersi in discussione, specialmente dopo i molteplici segnali.

E di recente non sono mancati i paradossi sintetizzabili in commenti – avulsi dalla realtà– che parlavano di improbabili di vittorie locali del PD (cito una tra tutte: “In Campania il PD è cresciuto”), pur di non avviare un reale percorso costituente, volto a ridiscutere metodi, mezzi, strumenti, persone e processi di inclusione democratica, che consentissero (ma aggiungo: consentano) concretamente di dare corpo e forma ad un progetto che, in potenza, si dimostra innovativo e realmente in grado di imprimere un importante corso politico.

Abbiamo fugacemente riflettuto, senza la pretesa di compiere un’analisi esaustiva, sul dato elettorale. Ora, dopo Roma, l’ennesima conferma.

L’incapacità di interpretare i segnali che provengono dal basso, ha fatto il resto. Una incolmabile frattura che attende di essere colmata. Dialogo biunivoco, attitudine a far tesoro anche delle ragioni dei dissensi interni, e partecipazione «orizzontale» sono passaggi imprescindibili. Democrazia partecipata e di «prossimità» gli obiettivi.

Si apre una nuova fase di riflessione.

Questo post si inserisce tra due importanti date: il 25 aprile, anniversario della Liberazione, e il Primo maggio, festa dei lavoratori.

Alla nostra Costituzione, nel suo sessantesimo anniversario, ai suoi Valori fondanti, che poggiano su quel moto di orgoglio che unì l’Italia tutta e in particolare Napoli, medaglia d’oro della Resistenza, - città oggi purtroppo vittima della sua stessa disillusione -, dobbiamo ancora una volta, oggi, guardare.

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Inauguro il post.

E' proprio vero: finora c'è stata incapacità a prendere atto dei mutamenti e soprattutto è mancata la volontà di farvi fronte.

Tutto questo per egoismo del potere.

Anche le voci di critica, che in qualsiasi persona di buon senso avrebbero indotto ad un vero cambiamento, sono state lette come voci del malagurio.

Continuiamo a farci del male. Bene. Bravi. Bis!

Anonimo ha detto...

Caro Alessandro,
il Re non è il personaggio peggiore di questa bella favola.
E provocatoriamente dico che non lo sono neppure i cattivi consiglieri, ché la storia e la vita sono quasi sempre il risultato di scelte sbagliate suggerite da egoismi e miserie più che da buoni sentimenti e gesti nobili.
E' la folla plaudente che ne esce peggio,perché non ha il coraggio o forse neppure la capacità di vedere l'evidenza.
E così siamo noi: richiamati dalle parole del bambino abbiamo guardato con attenzione, alcuni di noi hanno visto e capito ed altri no. Ma solo una piccola parte di quelli che sono riusciti a vedere il Re Nudo hanno avuto il coraggio di chiedergli di riacquistare dignità e decoro oppure di abbandonare la scena.
Gli altri hanno voltato la testa dall'altra parte ed hanno continuato nei loro piccoli, meschini ma profondamente umani tran tran quotidiani perchè, ahimè perdonatemi per quello che dirò, nel nostro dna è scritto che Franza o Spagna basta che si magna.
Ora che i rubinetti sono a secco e the party's over e i cattivi consiglieri sono fuggiti con la cassa, mentre il Re Nudo, -vanitoso e delirante come la mitica Gloria Swanson in Viale del Tramonto -, continua a guardarsi allo specchio trovandosi irresistibile, nonostante l'orrore di una nudità resa oscena dalla corruzione, dall'ostentazione del potere e dall'arroganza dell'impunità certa, ci si accorge che forse quel bambino che abbiamo guardato allora con fastidio, quasi con risentimento, avrebbe potuto, se ascoltato per tempo, salvarci tutti dalle sabbie mobili in cui siamo ormai impantanati, forse per sempre, col rischio di sprofondarci dentro sempre più sino a soffocare.
E allora, caro Alessandro, io mi/Ti chiedo, quando la democrazia di cui tutti si riempiono la bocca, gli occhi e le menti - salvo poi non darvi corso con le azioni - non assicura più quell'osmosi tra governanti e governati che ne costituisce la spina dorsale, che cosa succede?
Fino a che punto ci si può spingere da una parte e dall'altra senza uscire dai sacri confini della Carta dei padri costituenti?
E se loro ne fossero sostanzialmente già fuori, noi come potremmo riportarli in limine?
A presto amico mio
Fabio Fabbrini

Anonimo ha detto...

ciao!
scusami per l'OT, mi chiamo Giacomo ed assieme ad alcuni amici democratici stiamo lavorando alla mappatura delle risorse democratiche in rete, in particolare ci interessano i gruppi, MA ANCHE i singoli :)

qui trovate il nostro gruppo:
http://ma.gnolia.com/groups/mappademocratica

potete dare un'occhiata ai collegamenti che sono lì, c'è anche il vostro!

E se volete potete collaborare con noi aiutandoci a mappare la rete!

Anonimo ha detto...

La ribellione delle masse


di Ernesto Galli della Loggia


«Arrogante», «oligarchico », «lontano dalle masse e vicino ai salotti»: si sprecano le analisi che rimproverano al Partito democratico di aver perso le elezioni a causa del suo essersi sempre più rinchiuso nei recinti della «casta», smarrendo il contatto con la realtà italiana e alienandosi parti rilevanti del proprio elettorato, specie popolare.

Comunque stiano le cose, di sicuro esse sono apparse così agli occhi di molti e qualche buon motivo, allora, deve pure esserci. Ma va cercato non già nell'ultimo paio di anni, nel tratto più o meno sbrigativo di questo o quel leader, nelle candidature più o meno paracadutate dall'alto, nelle mises
un po' troppo sul «semplice ma raffinato» di Barbara Pollastrini o di Giovanna Melandri, bensì in quello che è successo in Italia almeno negli ultimi due decenni.

A cominciare dall'epoca di Mani Pulite e subito dopo, allorché parti via via crescenti dell'establishment italiano, per scampare al naufragio dei suoi tradizionali referenti politici — la Democrazia Cristiana, il Partito socialista e quello Repubblicano — corsero a rifugiarsi sotto le ali ospitali dei postcomunisti. Il furbo dirigente Rai, la giovane industriale in sintonia con i tempi, il navigato notabile meridionale, il pm in carriera, il banchiere di peso, il direttore generale desideroso di non perdere il posto, tutti andarono inevitabilmente «a sinistra», per non dire di buona metà e forse più dell'intero gruppo dirigente democristiano. Tutti sicuri che lì era il nuovo baricentro del potere: lì le nuove combinazioni decisive, le assegnazioni di incarichi, i riconoscimenti ambiti. Fuori dalla «sinistra» (o da quella sua versione allargata che da lì a poco sarebbe stato l'Ulivo), della classe dirigente italiana non rimase praticamente che ben poco. E quel poco, per giunta, mantenne quasi sempre il più assoluto silenzio: accrescendo così ancor di più la visibilità pubblica dell'altra parte, quella della grande trasmigrazione a sinistra. Il cui adeguato involucro ideologico fu subito approntato: l'ideologia della «difesa della Costituzione», opportunamente messa a punto e diffusa proprio allora dall'ex sinistra democristiana con il potente ausilio strategico del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

A tutto ciò il Pds e poi i Diesse aprirono, anzi spalancarono, le braccia. Essi videro probabilmente in questa generale corsa verso di loro delle classi dirigenti italiane l'annuncio inaspettato di una qualche raggiunta egemonia. Non si accorsero che era invece la premessa del proprio snaturamento. Della propria mutazione da partito popolare a partito di «quelli che contano ». Ancora peggio: di quelli sicuri che saranno sempre loro a contare.

Ma se le cose hanno potuto svolgersi in questo modo è perché già il Partito comunista — di cui il Pds e poi i Diesse hanno rappresentato una sorta di aggiornamento, sempre più aggiornato se si vuole ma sempre legato per mille fili alla matrice originaria — già il Partito comunista, dicevo, non era mai stato in realtà un partito popolare nel vero senso della parola. Il Pci fu sempre altra cosa, infatti, rispetto ai grandi partiti socialdemocratici europei, per esempio al Labour britannico o alla Spd tedesca.

Partiti dove forte si è mantenuto, anche negli usi e nei rituali, un tradizionale sostrato culturale e antropologico schiettamente popolaresco, e perfino plebeo, espresso adeguatamente fino a tempi recenti da figure di capi tratti per l'appunto dai ceti popolari e dai suoi mestieri, con i gusti e i modelli espressivi relativi. Nel Pci no. Nel Pci Palmiro Togliatti tradusse l'antica diffidenza leninista per la spontaneità delle classi subalterne e insieme la lezione egemonica gramsciana in una direzione opposta: cercare di fare largo spazio nel partito, e specie tra i massimi dirigenti, a persone di buona cultura, ancor meglio se di buona famiglia, sostanzialmente a intellettuali borghesi. Al «Migliore» non sarebbe mai venuto in mente, tanto per dire, che un capocellula di Mirafiori contasse quanto un professore della Normale. Caratteristica già del Pci, insomma, fu un forte elitismo sprezzante di tutto ciò che sapesse di «piccolo-borghese», pur se innestato su una penetrante attenzione al sentire delle «masse» considerate sempre, però, alla luce di un pedagogico paternalismo disciplinatore. Da qui il grande fascino che, anche nei tempi della più aspra conflittualità, i comunisti hanno di continuo esercitato sulla borghesia italiana: precisamente per la loro capacità di presentarsi come un partito fatto apposta per dirigere, per governare, luogo vocazionale del potere, di un potere capace di mettere insieme l'alto e il basso della società.

Ma la formula di successo del vecchio Pci, la sua miscela singolare di alto e basso in tanto potevano reggere finché il partito era obbligatoriamente lontano dal potere. Quando dopo il '94 le cose sono cambiate, la formula allora non ha più tenuto, l'alto e il basso sono progressivamente andati ognuno per conto suo, e del paternalismo pedagogico le masse, alla fine, non hanno saputo più che cosa farsene.

Alessandro Biamonte - Buongiorno Napoli ha detto...

Io, invece, vi posto questo articolo tratto sempre dal corriere del 3 maggio 2008.

Vi sottolineo l'incipit sintetizzato nella parte tratta dall'articolo di Franco Giordano sul Manifesto:
"è essenziale la sfera delle connessioni problematiche, che sola può rompere la staticità delle culture politiche di appartenenza"...
Che significa?? Se lo chiede Marco Rizzo, ce lo chiediamo noi, se lo saranno chiesto e continueranno a chiederselo tante persone comuni.
Dà il senso dell'astrattezza, e soprattutto dell'assenza di ogni contatto con la realtà.
Superfluo ogni commento.

Bertinotti
Rizzo: sta con le principesse Io invece voglio spaventarle

MILANO - «Conservo nel portafogli un ritaglio, aspetti un po' , l' ho letto così tanto che quasi non si distingue più, ecco..."è essenziale la sfera delle connessioni problematiche, che sola può rompere la staticità delle culture politiche di appartenenza"...». Eh? «Appunto: ma che diavolo vuol dire?! E l' ha scritto Franco Giordano, sulla prima del manifesto! Ci credo che i giovani proletari delle periferie diventano fascisti! I comunisti sono questa roba qua?». Marco Rizzo, eurodeputato del Pdci, ha passato il Primo Maggio a maltrattare (verbalmente) l' intero Arcobaleno: da Bertinotti, «basta con la sinistra al cachemire!», al «poeta del nulla» Vendola. E ora lancia la «costituente comunista» per «superare» Prc e Pdci. Ma cos' ha contro Bertinotti? «È il concentrato di ciò che negli ultimi vent' anni ha distrutto la sinistra». Addirittura? «Ma sì, la critica indifferenziata al Novecento, al comunismo e non ai suoi errori, il disastro nelle periferie, la perdita dell' identità proletaria...». E lei vuole recuperarla? «Certo! Il conflitto capitale-lavoro, seppure aggiornato e arricchito. Io mi sono laureato ma non dimentico d' essere nato in un ingresso, di avere avuto un papà operaio. Bertinotti poteva rivendicare le sue esperienze...». E invece? «Stavo male a vederlo, una nuance al mattino, un' altra la sera, pareva la collezione autunno-inverno. No, non se ne può più. Io voglio spaventarle, le principesse! Voglio fare loro paura!» Quindi che succederà? « Che abbiamo ottenuto nei governi dal ' 94 a oggi? Zero. Basta dire che Veltroni non ci vuole: siamo noi a non volere lui. A essere totalmente alternativi al Pd». Per fare cosa? «Superare i partiti attuali che si sono mostrati fallimentari. E ripartire dalla falce e martello, dai conflitti di classe, da un nuovo partito comunista fatto di tutti i comunisti che vogliono superare radicalmente questa società. Un partito collegiale e senza leadership, perché la leadership è di destra».

Gian Guido Vecchi

Pagina 12
(3 maggio 2008) - Corriere della Sera

Anonimo ha detto...

bel post :)

Alessandro Biamonte - Buongiorno Napoli ha detto...

@ Clark: Grazie! Troppo buono :))
@ Fabio: Certo, la folla plaudente ne esce con le ossa rotte. I cortigiani ci saranno sempre.
Intanto abbiamo sempre da imparare dai bimbi. In tutto.

Anonimo ha detto...

Sparerò a zero su tutto e tutti.
Io voglio gridare che davvero il re è nudo.
E' nudo in questa città, Napoli, dove l'amministrazione è vittima del clientelismo e della logica assistenziale.
Dove non solo gli assessori vengono scelti con il manuale Cencelli, ma per dare occasione di lavoro a gente senza né arte né parte, e incapace di attuare qualsiasi progetto(che non hanno). Così pure avviene per la scelta di dirigenti di Comune e Regione.
Allora, capirete: che rinnovamento o miglioramento vogliamo sperare?
Sindaco: hai il coraggio di riconoscere che il re è nudo? Sicuramente no. Come già avvenuto. Ma ci avevi fatto credere che sarebbe cambiato, che avremmo avuto una giunta all'altezza dell'importanza storica della città. Ti abbiamo creduto e riconfermato. E invece sappiamo cosa ci ritroviamo... Inutile elencare..
Una città che cade a pezzi vittima di un traffico pari solo a Bombay e non c'è uno straccio di assessore, sia all'ambiente, sia alla viabilità, che prenda decisioni drastiche.
Non si respira più e questi senzacoraggio, che fanno? Uno vieta il fumo nei parchi, l'altro si inventa la domenica ecologica. MA VI RENDETE CONTO?
Siamo l'unico posto in Italia dove il corpo della Polizia Municipale è diventato come l'esercito di Franceschiello. E nessuno fiata.
L'amministrazione è diventata lassista e tollera ogni illegalità. Dalla piccola alla grande.
E ribadisco che nulla cambierà. Né con la sinistra, né con la destra. Perché l'incapacità, questo popolo, ce l'ha nel suo DNA.
Certo, le cose non vanno meglio a livello nazionale, veline ministri e subrettine parlamentari, sotto la sapiente regia di un caimano redivivo.

Anonimo ha detto...

Il re è nudo in Comune?
Boh?
Intanto guardate un po' le nomine della Iervolino... mah!
L'unica cosa positiva è che non si tratta di personaggi direttamente legati a partiti...

Anonimo ha detto...

Io invece concordo con anonimo: la nota positiva è che sono entrate in giunta persone non direttamente legate ai partiti. Invece dei soliti professionisti della politica, finalmente qualcuno che non è organico direttamente alle segreterie.
Certamente si sarebbe potuto fare molto di più, ma meglio di niente. E tutti quei micropartitini con pseudoconsiglieri che invocano la crisi ogni tanto se ne vadano a casa.

Anonimo ha detto...

permettici di segnalarti un post/appello della nostra associazione

"A bocce ferme"
su
http://pangeablu.blogspot.com
ps,
ci interessa molto la tua opinione in proposito

Anonimo ha detto...

Il buonismo ci renderà ciechi?

(Rifletteteci, a margine del discorso di insediamento di Berlusconi). Ovviamente nulla in contrario al cambiamento di toni e al clima di generale pacificazione - se questo potrà rendere servizio al Paese -; purché non si trasformi in un alibi.

Anonimo ha detto...

A proposito di chi non vede il re nudo e chi lo vede.

La polemica. Il «Riformista»: Rosetta resta sindaco?

Sì, ma almeno non faccia più danni Il quotidiano arancione diretto da Polito: «La sua esperienza
è stata un fallimento. Vuole restare? Se ne stia in disparte»

NAPOLI - Rosa Russo Iervolino resti pure in carica, «ma non faccia danni». Lo scrive il «Riformista», il quotidiano diretto dall'ex senatore Pd, Antonio Polito, considerato vicino al centrosinistra. In un editoriale che uscirà mertedì 20, si critica il sindaco di Napoli e si giudica «un fallimento» il suo mandato. «Il sindaco di Napoli Rosa Iervolino ha tutto il diritto di difendersi dalle accuse che le piovono addosso. Del resto, non fa altro da sette anni», premette ironicamente il «Riformista». Sottolineando che se la Iervolino «non ha responsabilità dirette nella gestione dei rifiuti, che è commissariata da più di un decennio, quello di cui davvero non può lamentarsi è dell'assoluta assenza di senso civico dei suoi concittadini che danno fuoco all'immondizia, ovviamente istigati "dalla malavita che vuole destabilizzare la città", visto che ormai la camorra è diventata il "refugium peccatorum" di ogni problema di Napoli. Non può perché il sindaco è responsabile del senso civico della città che governa. Oseremmo dire che, dall'elezione diretta in poi, è questo il suo compito fondamentale: rappresentare, guidare, orientare, il senso civico della propria città. Esercitarne la guida, incarnarne la leadership, dare il buon esempio. E se il sindaco di Napoli e l'intero consiglio comunale si oppongono all'apertura di una discarica danno il cattivo esempio, tradiscono il senso civico di cui lamentano l`assenza, e spingono i cittadini a bruciare l`immondizia in cui nuotano».
Poi un altro affondo, una stoccata ancora più dura. «Dal punto di vista della leadership, bisogna dire che l'esperienza della Iervolino è stata un fallimento. E certamente una brava persona, onesta e appassionata. ma non è assolutamente all'altezza dell'emergenza della sua città. Il sindaco di Napoli dice che non intende dimettersi. È nel suo diritto, visto che è stata eletta direttamente dai cittadini ed è all'ultimo mandato. Ma almeno se ne stia in disparte, non faccia danni, lasci lavorare il commissario De Gennaro, il premier Berlusconi, e financo il vituperatissimo governatore Bassolino, che almeno ha capito l'antifona e si è messo a tirare la carretta dalla parte giusta».
20 maggio 2008

Anonimo ha detto...

Da capitale a Prefettura


Scritto da Marco Demarco da il Corriere del Mezzogiorno, 22-05-2008 07:41


Bene Berlusconi, male Napoli. Concreto, motivato, consapevole delle difficoltà e delle diffidenze con cui deve misurarsi, Berlusconi ha lanciato ieri un messaggio chiaro all'opinione pubblica internazionale. A quei corrispondenti esteri convinti che l'Italia sia un paese «fallito» e che Napoli sia una delle ragioni, se non la principale, del fallimento, Berlusconi manda a dire che non intende far finta di nulla. Napoli brucia? A Napoli il governo si trasferisce per spegnere le fiamme e tentare la ricostruzione. Forse è per questo che a un certo punto gli è sfuggita quell'immagine retorica ma vagamente sessantottina e visionaria dei fiori al posto dei cumuli di immondizia.
Premesso che il difficile non è fare piani, ma attuarli, i provvedimenti annunciati ieri sembrano lontani da una logica del giorno per giorno e della politica a effetto. I siti per i rifiuti equiparati a quelli militari e dunque strategicamente fondamentali, le parole chiare all'indirizzo di chi volesse ostacolare le decisioni dello Stato, il timer già scattato sulle scrivanie di sindaci finora troppo distratti, e l'altolà posto all'azione eccessivamente «sostitutiva» dei pubblici ministeri fanno ben sperare. A Caserta, Prodi si limitò al grande annuncio, ai cento miliardi per il Mezzogiorno, mentre ieri, a Napoli, di piogge miliardarie non si è proprio parlato. Anche il ritorno di Bertolaso segna la differenza con il governo precedente, perché già due anni fa, forse, il traguardo poteva essere tagliato se non fosse stato accolto il veto di Pecoraio Scanio e altri ministri.
Napoli ne esce a pezzi, invece, perché è apparsa per quella che è. Una città senza guida, con troppi furbetti acquartierati nelle istituzioni e preoccupati più di salvare se stessi che la dignità collettiva. Una città priva di coerenza e incapace di elaborare una sola idea degna di questo nome. Non a caso, l'unico campano citato da Berlusconi è stato il sindaco di Salerno, De Luca, caparbiamente impegnato, dopo anni di lotta solitaria, nella costruzione del terzo termovalorizzatore. Non una parola, invece, per Bassolino o per Iervolino. E quest'ultima non ha ricevuto neanche una visita di cortesia da parte del ministro Maroni.
Berlusconi non ha fatto alcun cenno alle dimissioni, da più parte invocate, della sindaca di Napoli e del governatore, ma ha fatto molto di più. Li ha sostanzialmente ignorati, lasciando ai napoletani e ai campani, quando sarà il tempo, la responsabilità di regolare i conti con il voto. Non a caso, nel corso della conferenza stampa a Palazzo Reale, Berlusconi ha ceduto la parola a Tremonti. Il quale ha pronunciato una battuta tanto velenosa quanto umiliante: «Una grande capitale è diventata una prefettura», ha detto. Eppure, che altro dovevamo attenderci dopo lo spettacolo a cui abbiamo assistito in questi giorni? Chi credeva di cavarsela sacrificando la Iervolino sull'altare dell'inefficienza amministrativa non solo ha dato prova di scarsa solidarietà istituzionale, ma non ha ricevuto in cambio neanche la medaglia sperata. Il risultato è che da oggi a Napoli e alla Campania ci pensano Berlusconi e Bertolaso. Punto.

Anonimo ha detto...

ciao Alessandro
permettici di segnalare...

"Rifiuti-il paccotto di Berlusconi ai napoletani.Ma la grande stampa applaude"

il nuovo post presidente di Pangea Blu (pubblicato oggi anche sulle pagine di la repubblica napoli)
su
http://pangeablu.blogspot.com
grazie
pangea blu
ps. fradiremmo molto un tuo commento

Anonimo ha detto...

alessandro
noi contimuiamo a segnalare ehehehe
Gomorra e il decreto rifiuti
sul corriere del mezzogiorno di oggi oppure sul nostro blog
http://pangeablu.blogspot.com
a presto
ps.
passa e commenta le tue opinioni sono sempre interessanti e stimolanti