sabato 2 agosto 2008

Ricominciamo?



Quando è cominciato il declino di Napoli? Giuseppe Montesano, nel prologo a "Due celebri delitti" - una recentissima (ri)edizione di due racconti (Giovanna di Napoli e Nisida) scritti da Dumas e ambientati a Napoli -, si interroga sull'eterno dilemma, senza pervenire ad una compiuta risposta.
Per lungo tempo non ho scritto post. Mi sono arrovellato, quasi paralizzato dall'impossibilità di continuare a "costruire" parole, senza riuscire a trovare una via d'uscita o, quanto meno, garantire un apporto costruttivo - per me, persona concreta per natura e professione, condizione imprescindibile-.
E intanto vedevo nuovamente crescere l'enfasi contraddittoria che da sempre caratterizza la nostra storia.
Contraddizioni che stridono da sempre nella quotidianità, come questa recente immagine di Piazza Banchi Nuovi (centro storico, a due passi da Università Orientale, S. Chiara e Gesù nuovo), dove il logo della II municipalità - sintesi inerte dell'inutile decentramento amministrativo - sovrasta il quotidiano cumulo di immondizia (Berlusconi avvisato: a dispetto dei suoi spot, la crisi è endemica e lungi dall'essere superata) in un tripudio di degrado capace di far trasecolare l'UNESCO che, indegnamente, anni fa (sulla scia dell'adagio bassoliniano "città d'arte" e "museo all'aria aperta") ha voluto inserire il centro storico di Napoli nella lista del Patrimonio dell'Umanità.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

ricominciamo.
Ma lontano da qui.
Al bando i politicanti che ci hanno invaso fin nel midollo.
Gente senza capacità. Ignoranti. Non hanno mai lavorato e dettano legge con le loro raccomandazioni, aiutando incapaci quanto loro e facendo andare avanti i peggiori.
Ecco perché questa città va sempre più giù.

Anonimo ha detto...

Declino senza fine. Non riesco a vedere altro.

Anonimo ha detto...

Il declino di Napoli forse è causato dalla nostra autoreferenzialità, dalla minimizzazione ed ironizzazione, dal cullarci sempre su uno prototipo di simpatia, bontà di cuore, e in modo particolare dal voler trovare una giustificazione a tutti i nostri mali, proiettando la causa su istituzioni, politica.
Ciò è pur vero in parte, come è vera e senz'altro positiva la capacità di autoironia tipicamente napoletana, quest'ultima sarebbe positiva se fosse propedeutica ad una azione concreta finalizzata al ribaltamento delle condizioni disastrose in cui ci troviamo.
Da napoletano che vive fuori Napoli, a Roma, posso dirvi che qui non sono poi tanto diversi da noi, quanto a rigore, attenzione verso l'ambiente, ecc.
Tuttavia penso che a Napoli ogni minima forma di lassismo, di disattenzione si trasforma in un disastro, come quello che è sotto i nostri occhi.
Un lassismo ed una disattenzione che può andare da comportamenti aventi apparentemente un impatto minimo (es. votare un politico per ottenere un favore, cosa molto diffusa in Italia ma estremamente critica a Napoli, andare in centro a tutti costi con il SUV,ecc.) a macrocomportamenti che, seppur accettabili e di uso comune in altre parti di Italia, sono disastrosi per Napoli stessa.
A riguardo vorrei portare all'attenzione episodi che sono sotto i nostri occhi:
1) se andiamo nei ristoranti, bar, ecc. di Napoli quanti dei gestori si impegnanono per fare la raccolta differenziata o sono propositivi per semplici iniziative di autoriduzione dei rifiuti? O i rinomati alberghi del lungomare cosa fanno o cosa hanno fatto in tal senso?
Direi praticamente niente, se non sbaglio.

Stessa cosa se vado ad una festa privata a Napoli, come mi è capitato in piena crisi rifiuti:
Abbiamo consumato e gettato montagne di posate in plastica fregandocene alla grande di quello che c'era fuori.
E dire che eravamo tutti come minimo laureati!

Potrei andare avanti all'infinito nel citare episodi del genere tuttavia una constatazione positiva, che lascia intravedere speranza all'orizzonte c'è: Alla raccolta differenziata, ove la stanno facendo, la gente sta aderendo in massa.

Io penso quindi che il napoletano deve essere un po' + rigoroso, deve fortificare ideali e valori (cito a riguardo il discorso di Oscar Fiorolli:
riguardo cito quanto detto nel discorso del questore uscente Oscar Fiorolli

".........Si poteva fare di piu' e meglio - dice - ma per faremeglio ci vuole un cambiamento culturale. Questo non significa che inapoletani sono ignoranti, ma che c'e' una cultura individualista chenon aiuta la citta' a crescere. Si e' fatto il possibile, nessuno ha labacchetta magica, occorre lavorare tutti insieme per migliorare lacitta'"

Cerchiamo anche, e questo lo chiedo all'avvocato Biamonte, di evidenziare nella nostra storia il percorso dei nostri valori e dei nostri momenti gloriosi, dalla rivoluzione del '99 a Salvo D'Acquisto contrapponiamolo al percorso dei non valori e del declino, affinchè il primo sia la base da cui poter partire per un vero rinascimento, a tutti i livelli, della società napoletana.
Un saluto,
Rosario Giordano

Alessandro Biamonte - Buongiorno Napoli ha detto...

Condivido perfettamente l'opinione di Rosario Giordano. La condivido a tal punto che forse ritengo opportuno dedicare un post all'argomento.

Con buona pace degli eterni sanfedisti io mi sento figlio della rivoluzione partenopea del 1799 (e dunque vittima - ahimé - dell'eterno spirito autodistruttivo di questa città). Quindi, Rosario mi invita a nozze. Ma non credo che lo scopo di questo blog sia quello di autocompiangersi (o autocompiacersi?)per una realtà che è sempre più distante dai nostri desideri.

Tempo fa, Claudio Velardi ebbe modo di ironizzare su Gerardo Marotta, definendolo un giacobino che non voleva accettare Napoli così com'era.
Ma dico io, caro Claudio, come si fa ad accettare supini la sintesi di un'anarchia che ci sta portando alla deriva e abdicare a valori di civiltà?

Il grande handicap (per alcuni pregio) di questo popolo (ammesso che sia legittimo ancora utilizzare la locuzione "popolo" per la popolazione partenopea) risiede nella sfrenata voglia di seguire solo i propri impulsi irrazionali e nell'incapacità di canalizzare le energie.

Quindi viva la rivoluzione! Viva il 1799!

(E ora mi aspetta il patibolo...)

Anonimo ha detto...

Nel gennaio 2006 quando uscì 'Napoli siamo noi', un noto scrittore partenopeo scrisse che ero "una vecchia sciarpa littoria carica di nostalgie" e il direttore del 'Mattino' rincarò la dose degli insulti e Raffaele La Capria scrisse che mi ero "troppo sprofondato nella mentalità piccolo settentrionale". Ma a sprofondare è stata in questi giorni Napoli sotto l'immondizia, e il fatto che sia sprofondata come due o quattro anni fa, fa giustizia di queste difese d'ufficio di Napoli vittima del nord egoista. Nelle interviste tv ai napoletani che impediscono la riapertura delle discariche di Pianura si è ancora sentito qualcuno dire che "le immondizie ce le mandano giù i settentrionali", ma anche un bambino sa che le cose stanno diversamente. Napoli, la Napoli della povertà, è diventata come le altre città italiane un luogo di consumismo moderno intensissimo e senza regole e non ha saputo o potuto fargli fronte, lo ha subito come una slavina che tutto copre e soffoca. Vizi antichi spesso pittoreschi e tollerabili accumulandosi sono diventati intollerabili, la mitica armonia napoletana fra la natura stupenda e la città 'intelligente' pronta agli adattamenti e ai rimedi, si è arresa di fronte alla colata incontenibile dei rifiuti e delle confezioni.
La tolleranza totale che torna fra le cause del disastro non è una novità. Parlare di tolleranza zero a Napoli è ignorare la storia. A palazzo di giustizia, quando arrivò da Palmi il procuratore Agostino Cordova si vendevano sigarette, registrazioni di film, magliette d'autore contraffatte: era il mercato nel tempio. Cordova lo spazzò via, e non glielo hanno perdonato. L'igiene a Napoli nei secoli era sconosciuta, si cuocevano i maccheroni per strada, la pizza nei sottoscala. Tutto abusivo, tutto liberamente venduto: per anni in centro si è tenuto il famoso mercatino della merce rubata nei depositi americani, non era una vergogna, ma un'attrattiva locale. Oggi si vendono dovunque borse griffate e programmi informatici, registrazioni di film e tutti lavorano tranquillamente in nero. Napoli è l'unica città dove anche l'artigianato più rispettabile, come il presepe, è prodotto in nero. È la città dove i politici rei confessi di corruzione non solo vengono perdonati, ma tornano al potere. Ma fu per questo che intitolai il mio saggio 'Napoli siamo noi': perché anche da noi, in tutta Italia, i condannati per violenza o truffa politica, i deputati o i ministri ladroni, sono stati riammessi nelle direzioni dei partiti o nei pubblici uffici. A Napoli la faccenda era più spavalda, regnava a Napoli negli anni Novanta il ministro Cirino Pomicino. Costui, l'11 marzo 1990, si presentò con un seguito di amici alla sede della Rai e annunciò festosamente: "Guaglio', mo' trasimme tutti quanti, la Rai è di tutti, non è vero?", per vedere una partita di calcio del Napoli.
I napoletani non sono tutti camorristi, ma hanno fatto proprio il linguaggio camorrista. Nelle intercettazioni della polizia ricorrono linguaggi cifrati: "Mi mandi venti chili di mele", "passi dal mio segretario per quantificare", "mi scusi se l'hanno già disturbata, ma adesso tocca a me". Un deputato dei Ds, Isaia Sales, ha scritto di questo costume napoletano: "Il potere politico è diventato il regolatore quasi assoluto della vita sociale ed economica di grandi aree, le sue regole sono diventate le regole dell'economia, qualcosa di simile a ciò che accade nei paesi dell'est". A Napoli è possibile tutto: lo psichiatra Ceravolo ha inventato una maglietta con su stampata una finta cintura di sicurezza, e assicura di averne vendute molte. Ma non facciamoci illusioni: Napoli ormai siamo noi, i nostri consumi culturali non fanno una gran differenza, sono la poltiglia di familismo, violenza, maschilismo, superstizione, pornografia con l'ossessione consumistica come unico criterio di giudizio. Il consumismo ha travolto con le sue immondizie le ultime resistenze civili di Napoli. Ma tutto il Paese è a rischio. Si è scritto di Napoli: "Nella città convivono due classi, i letterati e il popolo", i letterati, gli intellettuali, si spartiscono i pubblici uffici, governano un popolo di cui Guido Dorso diceva: "Una plebe non ancora uscita dal limbo della storia, abbrutita dalla tradizione e dalla miseria". Questa plebe sopravvive nei cento mestieri umili, 'spiccia faccende', piccola manovalanza che non può contare su un reddito regolare, da cui deriva la voglia di sopravvivere alla miseria, di sopportare la miseria che è all'origine della tolleranza generale: tutto deve essere permesso affinché tutti possano vivere.

Giorgio Bocca

Anonimo ha detto...

il vero scandalo a piazza dei Banchi Nuovi è stato lo strombazzato mercatino che poi non si è fatto. E ci sono ancora gli striscioni....