giovedì 5 luglio 2007

Piccoli saggi crescono

Come sostiene Platone nella Repubblica, “A meno che i filosofi non regnino negli stati o coloro che oggi sono detti re e signori non facciano genuina e valida filosofia, e non riuniscano nella stessa persona la potenza politica e la filosofia, non ci può essere una tregua di mali per gli stati e nemmeno per il genere umano”.

In breve, l’auspicio per i mali del genere umano e della società è riposto nel governo dei “sapienti” o “saggi” che dir si voglia.

A leggere i titoli dei giornali che ci “narrano” l’epopea del sempre più nutrito gruppo di “saggi” (prima 40, poi 60 infine, ad oggi, 78), nel comitato provinciale del costituendo Partito democratico, c’è da dormire sonni tranquilli per il nostro futuro.

Ammesso che sia dato comprendere da chi discenda l’attribuzione di questo epiteto e quale esame debba superarsi per entrare in un novero così esclusivo (al punto da innescare una gara al “ripescaggio”) ed essere qualificati saggi.

Così come, senza scomodare Hegel, sarebbe interessante individuare i criteri utilizzati per discernere i veri appartenenti alla “società civile”, che sono davvero meritevoli (bontà loro) di una cooptazione in questa squadra.

Novità o istinto di autoconservazione?

lunedì 2 luglio 2007

Napoli, città visibile e Leonia, città invisibile

Da Le città invisibili di Calvino:
"La città di Leonia rifà se stessa tutti giorno: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello d'apparechio.
Sui marciapiedi, avvilupati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia di ieri aspettano il carro dello spazzaturaio (...)
l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità (...)
Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. E' una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne (...)
Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che si ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta".
Una città che espelle i suoi rifiuti e si monda delle sue impurità, rinnovandosi ogni giorno. Al tempo stesso immondizie che si accumulano le une alle altre e, nel loro sedimentarsi, ne mantengono inalterata la memoria. Una visione orrida, che dà il senso di un rinnovamento solamente apparente, di facciata, incurante di tutto ciò che la circonda (un immondezzaio enorme che sottrae terreno ad altri immondezzai).
Fare un parallelo con la nostra realtà quotidiana - sia pure all'incontrario (la nostra città non si rinnova e, ironia della sorte, non riesce più ad espellere i rifiuti...) - appare scontato e, a tratti, demagogico.
Ma la demagogia non fa parte dei nostri propositi. Piuttosto, appare significativo rilevare come l'assenza di rinnovamento, in momenti tanto difficili, affondi le radici nell'incapacità dei cittadini di sentirsi parte di una collettività. Il dramma di questa città è sintetizzabile nella incapacità di ampi strati di popolazione che si dimostrano incapaci di pensare "da cittadini". Non di rado avvezzi a dare la colpa di ciò che non va ad una astratta entità a sé estranea, senza rendersi conto che il cambiamento investe il proprio modo di partecipare attivamente alla vita collettiva - lottando per i diritti e combattendo ogni forma di illegalità -.
C'è poi la categoria di quelli che nascondono la testa sotto la sabbia, negano l'evidenza e fingono, per falso amor patrio, di non riconoscere i problemi, sminuendone la portata e alimentando la tesi che "tutto il mondo è paese". Altro atteggiamento errato. L'incapacità di prendere atto realisticamente delle difficoltà impedisce di migliorare e mettere in campo energie per voltare pagina.
Residua l'atteggiamento conservatore dell'autocelebrazione, del quale il nostro panorame è ormai saturo.
In fondo a tutto l'assuefazione passiva, indotta spesso dal senso di impotenza consolidato dalla constatazione che tutto ciclicamente si rinnova in negativo.
C'è solo una via d'uscita: non smettere mai di essere vigili e credere ad oltranza nell'affermazione dei diritti di cittadinanza.