sabato 22 dicembre 2007

Autocoscienza e responsabilità

Criminalità. Malaffare. Crisi ambientale.
Niente di nuovo sotto il cielo. E sotto l'albero.
Cosa augurarci allora in vista delle prossime festività?
Scriveva Dostoevskji, per bocca di un suo personaggio (il monaco russo Starets Zosima), in alcune pagine che ritengo non possano lasciare indifferenti per l'intrinseca religiosità (in senso lato, anche laico):
" Pare un non senso, ma è giusto, perché tutto, come l'oceano, scorre e comunica, tu tocchi in un punto e si ripercuote all'altro estremo del mondo.
Sarà follia domandar perdono agli uccelli, ma gli uccelli e i bambini e ogni animale intorno a te si sentirebbero meglio se tu stesso fossi più nobile di quel che ora sei, non fosse che un tantino. Tutto, vi dico, è come l'oceano. [...]
E non vi turbi nell'opera vostra il peccato, non temete che esso sciupi l'opera vostra e le impedisca di compiersi e non dite: 'Forte è il peccato, forte l'empietà, forte il cattivo ambiente, mentre noi siamo soli e deboli; l'ambiente cattivo ci guasterà e non lascerà che l'opera buona si compia'. Figli miei, non lasciatevi così abbattere! Non c'è che un mezzo di salvezza: renderti responsabile di ogni peccato umano..."
E' vero. L'assenza di risposte scoraggia. E il ciclico ripetersi di una storia già vista svilisce ogni volontà di riscatto. E con essa di impegno.
Ma l'augurio è duplice
Innanzi tutto manteniamo inalterata la nostra coscienza critica. Non smettiamo di indignarci. E di lottare in nome di un impegno civile che possa essere davvero inesauribile.
In secondo luogo: autoresponsabilità. Non ha senso, anche demagogicamente, elencare i mali che ci affliggono circondandoci, senza muovere un dito per migliorare noi stessi.
Tutto è come un oceano.
Auguri!

Municipalità, "mini"assessori e "aperture" della politica

Vi racconto un episodio che ben costituisce l'archetipo dell'attuale dimensione dell'agire politico.
Una municipalità.
Una stanza.
Quella del Presidente.
Una porta. Aperta.
Passando per caso il mio sguardo cade all'interno e lo sguardo si incrocia con quello di un "mini"assessore che conosco.
Il mio slancio, naturale, è immediatamente volto al saluto cordiale.
Raggelato mi accorgo che la priorità del MINI assessore, pur avendomi riconosciuto (ma il discorso potrebbe valere per qualsiasi cittadino, anche da lui non conosciuto), non è minimamente quella del saluto (che almeno la buona educazione gli avrebbe imposto, stante la comune conoscenza), ma la repentina e violenta chiusura della porta in faccia accompagnata da una furfugliata scusa (quella di confabulare con altri "politici" presenti dei "fatti loro" escludendo il mondo intorno).
Ritengo che il personaggio in questione, la cui principale preoccupazione non è stata quella di andare verso gli altri, ma di rinchiudersi nel conventicolo a cui sono avvezzi gli attuali politici ad ogni livello, abbia ben interpretato il ruolo attuale del politico e dei gruppuscoli (non certo dei cittadini) che è chiamato a rappresentare attuando pienamente la conventio ad escludendum che è il loro pezzo forte.
La strada da percorrere è tanta.

martedì 30 ottobre 2007

"Ri"organizzare la speranza



"Organizzare la speranza": l'eredità di Giovanni Paolo II lasciata dopo la sua lunga (ben tre giorni) visita pastorale del 1990.
Una frase divenuta storica.
E chi di noi dimentica gli striscioni, carichi di disperazione e speranza, branditi dalle vele di Scampia?
Non meno difficile di oggi il periodo che la città attraversava allora, attanagliata nei suoi problemi di sempre.
Che cosa resta del messaggio di speranza di Giovanni Paolo II? E' possibile "ri"organizzare la speranza di Giovanni Paolo II? Voglio credere ancora di sì. A condizione che venga consentito a tutti di partecipare.
Fin tropo la nuova classe politica si è arroccata nelle sue stanze, sorda alle mille energie del territorio. E' per questo che avrebbe fatto bene a "uscire dai palazzi", come veva esortato il cardinale Sepe, invece di insuperbirsi per il monito e rimbrottare come sempre ha fatto nei confronti di chi ha levato, anche solo timidamente, delle voci critiche.
Il governo della città non è un fatto privato, ma condiviso. E di condivisione del percorso non c'è proprio nulla.

lunedì 29 ottobre 2007

La governance dell'informazione

Le strade grondanti di sangue e una città in balia della criminalità alla ribalta delle cronache. C'era bisogno di una iniezione di fiducia, in grado di innescare un circolo virtuoso sull'immagine della nostra martoriata metropoli, e a più voci si incominciò a invocare l'opportunità di promuovere dei grandi eventi che fungessero da catalizzatore di attenzione a livello nazionale e internazionale, così come avvenne nel lontano 1994 per il G7.
Finalmente l'annuncio nell'aprile 2007 del Ministro Rutelli: Napoli avrebbe avuto "un evento" per ben tre anni di seguito, divenendo "palcoscenico" del Teatro Festival Italia.e di nuovo
Non è passato molto tempo che, al festoso annuncio, con la mente allo storico evento di Assisi del 1986, si è aggiunta la conferma della presenza di Papa Ratzinger all'incontro internazionale delle religioni per la Pace, in programma appena una settimana dopo il Teatro Festival. Qualcuno, con non poca enfasi autocelebrativa, ha incominciato a parlare di "spirito di Napoli" (sulla scia della frase coniata in occasione della giornata di Assisi).
Un doppio evento di grande rilievo, che avrebbe dovuto moltiplicare l'attenzione positiva dei media nazionali e internazionali su Napoli.
Niente di tutto ciò.
Entrambi gli eventi sono stati relegati, dai mezzi di comunicazione, a vicende locali.
Sfido chiunque a recuperare sui media nazionali e internazionali, soprattutto per ciò che riguarda il prossimo incontro per la Pace (del quale addirittura la maggioranza dei napoletani ignora l'imminente celebrazione), compiute notizie in merito sulle prime pagine.
Nessuna notizia nelle cronache, almeno nazionali (non dico internazionali), del Teatro Festival Italia, mentre stiamo assistendo in questi giorni ad un vero e proprio tam tam sul festival del cinema romano. Di contro le prime pagine non lesinavano spazio alle sempiterne e tragiche vicende di sangue.
Senza arrendersi ad un atteggiamento piagnone (che per quanto mi riguarda non appartiene alla storia personale del sottoscritto - pronto a valutare acriticamente e con distacco i limiti del sistema partenopeo -), credo sia arrivato il momento di riflettere seriamente sulla governance dell'informazione: sia sull'incapacità della città di fare pensare in positivo di sé al suo esterno (a livello nazionale e internazionale) - uscendo da un lento processo di inesorabile provincializzazione -, sia sulla inidoneità dei flussi di informazione positivi (o meglio delle modalità in cui essi vengono offerti ai media) a prevalere (senza offrire ovviamente una visione distorta della realtà) su quelli perennemente di segno opposto, o quanto meno, a equilibrare un quadro che, agli occhi, dell'osservatore esterno appare definitivamente compromesso.
E' un aspetto sottovalutato, perché periodicamente ci si limita - da parte dei governanti locali -, a invocare, di fronte a evidenti situazioni di crisi, la tesi del "complotto" antinapoletano, ma poi si affossa la città nel pozzo senza fondo del suo provincialismo.
E allora qualsiasi evento "calato dall'alto" finirà con il diventare uno spreco di risorse umane ed economiche, utile solamente ad alleviare le "piaghe" del malato locale e a offrire un contentino di orgoglio ad un popolo che si avvia ad essere spogliato della sua dignità.

mercoledì 17 ottobre 2007

Eccellenza e le eccellenze

Joseph Beuys, Terremoto in palazzo, 1981
(dalla installazione permanente Terrae motus, Reggia di Caserta)









Tre milioni e mezzo di cittadini in fila ai seggi per le primarie. Tra loro anche molti di quelli presenti qualche settimana fa al V-Day e tacciati di "antipolitica". Un significativo segno di democrazia, sospinto dall'entusiasmo della partecipazione diretta ad una nuova pagina della storia politica. Sintomo evidente che la politica non è morta, ma che quelli che dovrebbero essere i suoi veri protagonisti, ovvero i membri della civitas, e non i "politici" acchiappapoltrone, desiderano sentirsi protagonisti del cambiamento.


Ma quanto, nella realtà, attua gli alti fini che li ha tirati giù dal letto in una domenica di un primaverile autunno?


Le candidature: non può dirsi che a cittadini e società civile sia stato riservato un posto privilegiato. Anzi, i seggi delle liste forti sono stati riservati alle liste dei notabili poltitici, che hanno ingaggiato una corsa al seggio. Nessun volto nuovo nell'Assemblea nazionale. I risultati parlano da sé. Conseguenza: la tensione partecipativa è frustrata ab initio. Insomma, invece di cercare di costruire l'eccellenza si sono privilegiate le "eccellenze".


Nessun terremoto in palazzo, dunque, per parafrasare il titolo di uno dei più noti artisti contemporanei, Joseph Beuys.


Un sogno, quello della partecipazione democratica, per ora nel cassetto; ma un segno per i politici autoreferenziali chiusisi a riccio nella stanza dei bottoni: è bene mettere immediatamente mano a nuove dinamiche che consentano al popolo delle primarie di partecipare realmente. Diversamente il partito sarà il loro vuoto contenitore.




giovedì 27 settembre 2007

Quantità e qualità politica

"Si potrebbe servirsi metaforicamente di questa legge per comprendere come un 'movimento' o tendenza di opinioni, diventa partito, cioè forza politica efficiente dal punto di vista dell'esercizio del potere governativo; nella misura appunto in cui possiede (ha elaborato al suo interno) dirigenti di vario grado e nella misura in cui essi dirigenti hanno acquisito determinate capacità. (..) Perciò si può dire che i partiti hanno il compito di elaborare dirigenti capaci, sono la funzione di massa che seleziona, sviluppa, moltiplica i dirigenti necessari perché un gruppo sociale definito (che è una quantità 'fissa', in quanto si può stabilire quanti sono i componenti di ogni gruppo sociale) si articoli e da caos tumultuoso diventi esercito politico organicamente predisposto." [A. Gramsci, Q.13]

Abbiamo assodato che non si può parlare di antipolitica e che, semmai, una tale locuzione è figlia della politica “ufficiale”, di “palazzo”. Ogni espressione di pensiero tesa ad influire sulla vita della collettività e in vista di un fine comune è politica.

Ma come tendere ad un fine comune? Come divenire sintesi – non caotica – di nuove istanze e concorrere alla vita democratica del paese?

In questi giorni, a parte il fenomeno delle V-Day, le cronache sono occupate dalla corsa alle liste del costituendo Partito Democratico.

Una prima notazione: nel panorama della seconda repubblica e del post – tangentopoli ritorna la parola “Partito”, messa al bando da miriadi di nuove espressioni (“Alleanza”, “Unione”, “Lista”) che erano divenute archetipo di una volontà di esorcizzare in fretta un passato con il quale non si volevano fare i conti.

Ed è da qui che bisogna ripartire.

Non dimentichiamo che il ruolo dei “partiti” è costituzionalizzato e l’articolo 49 della nostra Carta fondamentale sancisce il diritto di “tutti i cittadini” ad associarsi liberamente, per l’appunto, in “partiti” per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

La nuova frontiera, però, deve essere rappresentata dalla possibilità, aperta a “tutti”, di concorrere, democraticamente, alla vita del paese. E con essa anche al divenire dei partiti. Diversamente, l’enstabilishment partitico (quello che oggi parla con disprezzo di “antipolitica”) avrà sempre di che lagnarsi, posto che vi sarà sempre qualcuno che, a ragione, rivendicherà il suo diritto di cittadinanza attiva.

Il distacco tra governanti e governati, l’incomunicabilità tra cittadini e rappresentanti istituzionali, giunta a livelli parossistici, è stata favorita, purtroppo, dalla creazione di blocchi di potere, vere e proprie “cricche” (per utilizzare una espressione icastica e utilizzata dallo stesso Gramsci), che sono divenute negazione dell’essere-politica, tradendo la stessa aspirazione del Costituente volta a tutelare il diritto di “tutti” i cittadini a partecipare con il proprio apporto concreto (questo di senso dell’ espressione “concorrere”) alla vita democratica.

Quindi, anche all’interno dei partiti si finisce con il contare in modo direttamente proporzionale al numero di voti. E non è il caso di soffermarsi su quale sia il reale prezzo del consenso elettorale, soprattutto in termini di clientelismo.

Il trionfo della quantità, a discapito della qualità.

E’ questo il rischio più grande, che finisce con il trasformarsi, da una parte, in perdita di rappresentatività, dall’altra in grave esclusione di una rilevante fetta del paese reale dalla possibilità di partecipare alla vita delle istituzioni, a tutto favore dei “portatori di voti” (questi sì “antipolitici” – in quanto negazione della dignità che dovrebbe caratterizzare l’impegno politico-).

In breve, essere votati non equivale ad essere veri politici. Ed è arrivato il momento di consentire ai cittadini, in quanto tali, di partecipare ai nuovi processi di trasformazione in atto.

La stessa corsa al seggio per le primarie (e con essa i metodi di cooptazione all’interno delle liste) rischia di dissimulare un sistema gattopardesco di autoconservazione, laddove non accompagnata a meccanismi compensativi che garantiscano la concreta partecipazione di tutti, senza distinzione alcuna, e di forze realmente nuove nei metodi e nell’approccio politico.

Se non sarà così, temo che il fuoco della cosiddetta “antipolitica” difficilmente si placherà.

giovedì 13 settembre 2007

Politica e antipolitica: due facce (fungibili) della stessa medaglia


l'agorà di Santiago Calatrava - Atene

Parole profetiche quelle del nostro precedente post.
In questi giorni c'è un gran parlare di politica e antipolitica. Gli "uni" (politici di professione al potere) bollano gli "altri" come espressione dell'"antipolitica". Le accuse di questi ultimi, ampiamente condivise - secondo le statistiche - dall'opinione pubblica, richiamano all'ordine i professionisti della politica che, senza distinzioni tra destra e sinistra, si
ritrovano "stranamente" concordi (una volta tanto).
Ma cos'è "politica" e cosa si definisce invece "antipolitica"? Quali sono i confini? Dove finisce l'una e inizia l'altra?
E' proprio giusto parlare di "anti"politica? O invece si tratta di due facce di una stessa medaglia? Etimologicamente il suffisso "anti" - dal greco antì - individua uno stato di contrapposizione ad uno stato di fatto; quindi, secondo l'accezione che stanno tentando di accreditare (mistificandone la portata), dovrebbe significare un rifiuto della dimensione politica. Esattamente il contrario di quanto la piazza rivendica.
A questo punto ognuno dei due blocchi, rivendicando per sé l'"essere-politica", potrebbe "bollare" l'altro di "antipolitica".
Fino a quando ci sarà una demonizzazione dell'avversario, o meglio una contrapposizione in blocchi, con categorizzazioni imposte dalla classe dominante, non si farà un passo avanti.
La politica parte dal basso e il nostro stesso agire è "politica". E' dunque errato parlare di antipolitica e, ancor di più, affibbiare tale odioso appellativo a chi dimostra in ogni caso di essere portatore di istanze.
E infine, dalle piazze, un monito per i "professionisti" della politica (fermo restando che la politica non è una professione): la partecipazione democratica alla cosa pubblica e alla vita del Paese è un diritto intangibile (oltre che costituzionalmente garantito). Non paga chiudersi in una lobby impermeabile all'esterno per curare il proprio orticello. Aprire quanto più è possibile agli altri e condividere l'esperienza sono aspetti da curare ogni giorno. E soprattuto una consapevolezza: il "consenso" è un dato effimero, destinato a dissolversi in un lampo. Men che non si dica.
Quindi incominciamo ad essere "Politica" insieme. Davvero.
A voi la parola.

martedì 7 agosto 2007

Per vivere dentro le cose da cambiare

"In conclusione vanno a far leggi nuove quelli cui vanno bene le leggi vecchie.
Gli unici che non son mai vissuti dentro alle cose da cambiare.
Gli unici che non son competenti di politica".
Non sono le parole di un demagogo.
Ancora Lorenzo Milani.
Ancora Lettere ad una professoressa.
Io, tu, noi, "insieme" siamo "politica". Ma l'impressione è che come cittadini ci impediscono di essere politica.
Sia chiaro che il nostro essere oggi qui non è il comitato per la stesura di un cahier de dolance da girare ai "politici" di turno. Noi stessi siamo "politica" e non solo ne dobbiamo prendere coscienza, ma soprattutto farla prendere a chi ci rappresenta. Essere legittimati come interlocutori. Partecipare attivamente alla formazione dei processi decisionali. Impedire di esserne esclusi. Far sì che si ricordino di noi e si mettano una mano sulla coscienza, perché fino ad ora l'autoconservazione e l'autosufficienza hanno solo dato manforte alla costituente del partito oligocratico.

martedì 31 luglio 2007

La costituente del partito oligocratico

Non c’è bisogno di convention o primarie. Il partito oligocratico è sempre tra noi.
La conventio ad excludendum è perennemente in agguato e costituisce lo strumento più forte per l’autoconservazione di una casta politica trasversale, che tralascia il contatto con i cittadini (cellula primigenia, anzi essenza stessa della politica), ritenendo, con presunzione, di essere il filtro di tutto ciò che riguarda la cosa pubblica.
Vi siete mai chiesti cosa mai si dicono i politici nei loro conventicoli privati? Non è forte la sensazione che avvenga qualcosa alle nostre spalle, a nostra insaputa e senza la nostra partecipazione?
Noi crediamo invece ad una dimensione partecipata della democrazia. E non vogliamo rinunciarvi: “uscire da soli dai problemi è egoismo, uscirne insieme è politica” ammonisce Don Milani in “Lettere ad una professoressa” e come più volte abbiamo ricordato.
E’ ancora possibile vivere la politica come partecipazione democratica? O dobbiamo rinunciarvi?
E’ ancora possibile pensare e tendere a cose alte?
Io spesso penso ai discorsi che si scambiavano i Padri costituenti. E li metto in contrasto con l’inconsistenza delle vuote parole dei “nostri” politici che, anche tra loro - nei corridoi del potere e alle cene degli “esclusi” - fanno a gara a rincorrere l’effimero di turno, per essere appagati da un irragiungibile primato.
E poi: possiamo accontentarci di essere solo spettatori?
Attendo una vostra risposta

mercoledì 11 luglio 2007

Napoli e la buona novella

(Andy Warhol - "Fate presto", 1981)

In questi giorni l’opinione pubblica è catalizzata, per l’ennesima volta, da sterili polemiche, ormai capaci di autoalimentarsi, che rischiano, in un perverso tam tam giornalistico, di fare ben più male a questa plurimartoriata città dei titoli – provocatori o, a volte, esageratamente allarmistici – che vi hanno dato inizio.
Penso all’allarme lanciato dall’ambasciata USA e ai relativi battibecchi con il Sindaco; ai dati CENSIS sulle presunte diminuzioni statistiche degli episodi di microriminalità; alle contestazioni sorte in merito alle dichiarazioni dell’Assessore Gambale che, nel corso del convegno organizzato da “L’altra Napoli”, invitava giustamente a non perdere di vista la pervasiva (e sotterranea) presenza della camorra nel tessuto vitale cittadino a favore di visioni parziali tutte orientate a soffermarsi sulla punta dell’iceberg costituita da scippi e rapine (espressione comunque di un sistema criminale unificato, come ci ha ricordato Saviano in Gomorra).
L’impressione generale è di una nuova corsa al massacro – deleteria nei suoi effetti – che sta sconvolgendo il panorama delle cronache, aggiungendo tinte fosche ad un quadro già disperato.
E’ invece sempre più forte l’esigenza di rimettere in moto un circolo virtuoso che consenta alle energie positive della città di emergere, fare mostra di sé e, soprattutto creare notizia in positivo.
Dall’altro, è innegabile prendere atto della necessità di coinvolgere il più ampio numero di cittadini – che in un simile contesto si sentono ormai demotivati a lottare - in una rinnovata tenzone all’affermazione dei principi di legalità e democrazia partecipata.
E’ da qui che bisogna ripartire, tenendo ben presente che, fin quando notizie e opinione pubblica risultano assorbite da polemiche fini a se stesse, l’unico a trarne giovamento è il sistema camorristico illegale, vivo e vegeto più che mai nei suoi multiformi aspetti.

giovedì 5 luglio 2007

Piccoli saggi crescono

Come sostiene Platone nella Repubblica, “A meno che i filosofi non regnino negli stati o coloro che oggi sono detti re e signori non facciano genuina e valida filosofia, e non riuniscano nella stessa persona la potenza politica e la filosofia, non ci può essere una tregua di mali per gli stati e nemmeno per il genere umano”.

In breve, l’auspicio per i mali del genere umano e della società è riposto nel governo dei “sapienti” o “saggi” che dir si voglia.

A leggere i titoli dei giornali che ci “narrano” l’epopea del sempre più nutrito gruppo di “saggi” (prima 40, poi 60 infine, ad oggi, 78), nel comitato provinciale del costituendo Partito democratico, c’è da dormire sonni tranquilli per il nostro futuro.

Ammesso che sia dato comprendere da chi discenda l’attribuzione di questo epiteto e quale esame debba superarsi per entrare in un novero così esclusivo (al punto da innescare una gara al “ripescaggio”) ed essere qualificati saggi.

Così come, senza scomodare Hegel, sarebbe interessante individuare i criteri utilizzati per discernere i veri appartenenti alla “società civile”, che sono davvero meritevoli (bontà loro) di una cooptazione in questa squadra.

Novità o istinto di autoconservazione?

lunedì 2 luglio 2007

Napoli, città visibile e Leonia, città invisibile

Da Le città invisibili di Calvino:
"La città di Leonia rifà se stessa tutti giorno: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello d'apparechio.
Sui marciapiedi, avvilupati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia di ieri aspettano il carro dello spazzaturaio (...)
l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità (...)
Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. E' una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne (...)
Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che si ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta".
Una città che espelle i suoi rifiuti e si monda delle sue impurità, rinnovandosi ogni giorno. Al tempo stesso immondizie che si accumulano le une alle altre e, nel loro sedimentarsi, ne mantengono inalterata la memoria. Una visione orrida, che dà il senso di un rinnovamento solamente apparente, di facciata, incurante di tutto ciò che la circonda (un immondezzaio enorme che sottrae terreno ad altri immondezzai).
Fare un parallelo con la nostra realtà quotidiana - sia pure all'incontrario (la nostra città non si rinnova e, ironia della sorte, non riesce più ad espellere i rifiuti...) - appare scontato e, a tratti, demagogico.
Ma la demagogia non fa parte dei nostri propositi. Piuttosto, appare significativo rilevare come l'assenza di rinnovamento, in momenti tanto difficili, affondi le radici nell'incapacità dei cittadini di sentirsi parte di una collettività. Il dramma di questa città è sintetizzabile nella incapacità di ampi strati di popolazione che si dimostrano incapaci di pensare "da cittadini". Non di rado avvezzi a dare la colpa di ciò che non va ad una astratta entità a sé estranea, senza rendersi conto che il cambiamento investe il proprio modo di partecipare attivamente alla vita collettiva - lottando per i diritti e combattendo ogni forma di illegalità -.
C'è poi la categoria di quelli che nascondono la testa sotto la sabbia, negano l'evidenza e fingono, per falso amor patrio, di non riconoscere i problemi, sminuendone la portata e alimentando la tesi che "tutto il mondo è paese". Altro atteggiamento errato. L'incapacità di prendere atto realisticamente delle difficoltà impedisce di migliorare e mettere in campo energie per voltare pagina.
Residua l'atteggiamento conservatore dell'autocelebrazione, del quale il nostro panorame è ormai saturo.
In fondo a tutto l'assuefazione passiva, indotta spesso dal senso di impotenza consolidato dalla constatazione che tutto ciclicamente si rinnova in negativo.
C'è solo una via d'uscita: non smettere mai di essere vigili e credere ad oltranza nell'affermazione dei diritti di cittadinanza.

giovedì 28 giugno 2007

Educazione alla cittadinanza e cultura partecipante

Prima di cominciare a riflettere sul processo di "normalizzazione" del nostro quotidiano, non dobbiamo dimenticare un punto di partenza fondamentale: dobbiamo educare ed educarci alla democrazia, per dare pieno compimento ai nostri diritti.
L'educazione alla democrazia deve costituire il primo obiettivo.
Dunque occorre riscoprire l'esercizio della pratica democratica.
L'unico modo per fare di un suddito un cittadito consiste nel lottare per l'attribuzione e l'attuazione di quei diritti che dagli autori di diritto pubblico sono definiti activae civitatis.
John Stuart Mill, nelle Considerazioni sulla democrazia rappresentativa, distingue i cittadini in attivi e passivi, precisando che in genere i governanti preferiscono i secondi, perché è tanto più facile tenere in pugno sudditi docili o indifferenti, ma la democrazia ha bisogno dei primi.
Se dovessero prevalere i cittadini passivi, conclude, i governanti farebbero ben volentieri dei loro sudditi un gregge di pecore volte unicamente a pascolare l'erba una accanto all'altra.
Zagrebelsky significativamente ricorda la distinzione tra la cultura da sudditi, orientata verso gli output del sistema (cioè verso i benefici che l'elettore spera di trarre dal sistema politico), e "cultura partecipante", cioè orientata verso gli input, che è propria degli elettori che si considerano potenzialmente impegnati nell'articolazione delle domande e nella formazione delle decisioni.
Non di rado, accanto al diffuso fenomeno dell'apatia politica dei cittadini (indifferenza per ciò che avviene intorno e chiusura individualistica nel proprio bozzolo), si assiste ad un senso di insofferenza del rappresentante - il quale è mosso dalla convinzione che, conferita la delega, possa ritenersi (politicamente) insindacabile dal cittadino, con il quale vige il principio dell'incomunicabilità -.
Dunque, l'azione si deve condurre su un duplice fronte: sensibilizzazione al bene comune di tutti i cittadini e dialogo permanente rappresentati - rappresentanti.
Per apatia politica si intende non già indifferenza del cittadino per l'attività istituzionale, ma assoluta mancanza di interesse attivo verso il bene comune. La "cultura partecipante" si esprime nell'impegno a rimuovere - secondo il proprio ruolo - tutto ciò che non va, a denunciare senza timori e a costruire.
Ha scritto qualcuno: non smettiamo di indignarci. E aggiungo: restiamo vigili.

mercoledì 27 giugno 2007

Il nostro logo

Delle onde che si intrecciano a formare una fitta trama.
Buongiorno Napoli è l'incontro plurale di più storie che si fanno una.
La stilizzazione richiama il Vesuvio e, al tempo stesso, la trama che si forma, oltre a simbolizzare l'agorà, assume l'aspetto di un sole rassicurante che irradia i suoi raggi.
Un azzurro intenso incute ottimismo e al tempo stesso richiama l'auspicata limpidezza (segno di legalità e armonia) dei nostri cieli (evidenzio il plurale), una limpidezza che vogliamo ristabilire con il nuovo giorno che nasce dalle nostre mani.

martedì 26 giugno 2007

Incomincia il cammino



Buongiorno Napoli si mette in moto.

Un grazie a tutti coloro che ci hanno arricchito con la loro presenza e a chi, anche non intervenuto, ci arricchirà con il suo contributo.

Riuscitissimo il dibattito e ricco di stimoli interlocutori, come confermato dai commenti della stampa sui quotidiani e in tv.

Ora abbiamo bisogno dell'impegno di tutti. Dobbiamo riscoprire la "circolarità" della nostra azione e, soprattutto, moltiplicare la nostra agorà in una dimensione di democrazia partecipata.

E mi piace chiudere con la frase di Don Milani su cui abbiamo riflettuto: "Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio". La politica è l'arte di uscire insieme dai problemi, tutto il resto è egoismo.

Camminiamo insieme e non atrofizziamo le nostre coscienze.

lunedì 25 giugno 2007

25 giugno 2007: nasce l'Associazione Buongiorno Napoli

"Buongiorno Napoli"

Un nome provocatorio in un periodo di particolare prova per la città di Napoli. Un'associazione che si propone come sintesi delle istanze che provengono dalla "società civile" nonché come luogo di incontro e proposta che instauri, alla stregua di coscienza critica, un fattivo dialogo permanente con le istituzioni, in controtendenza con atteggiamenti disfattisti e rinunciatari nei confronti della "cosa comune".


conferenza di presentazione

Lunedì 25 giugno 2007 - ore 17,00 - Sala S. Chiara

Piazza del Gesù- Napoli


Intervengono:


  • Mirella Barracco, Presidente Napoli '99;
  • Paolo Battimiello, Dirigente Scolastico Istituto Virgilio IV;
  • Paola Cortellessa, Comunità di S. Egidio;
  • Giuseppe Gambale, Assessore Educazione e Legalità Comune di Napoli;
  • Domenico Giustino, Vicepresidente Unione Industriali;
  • Leonardo Impegno, Presidente Consiglio Comunale di Napoli;
  • David Lebro, Presidente IV Municipalità;
  • Don Luigi Merola;
  • Ambrogio Prezioso, Presidente ACEN;
  • Pasquale Testa, Editore Phoebus
Coordina:
Alessandro Biamonte, Buongiorno Napoli

Buongiorno Napoli



Buongiorno Napoli!

Una impenetrabile cappa sta offuscando i nostri cieli.

Un lento e costante processo di "atrofizzazione" delle coscienze, alimentato dal quotidiano dilagare dell'illegalità (assurta, nei vari livelli, a norma di vita), dall'arroganza di una criminalità che si autoalimenta delle inefficienze del sistema, e dalla mortificazione di diritti fondamentali, sta imprimendo il corso della nostra esistenza di "cittadini" verso un punto di non ritorno.

Cittadini chiusi in se stessi e ridotti a soggetti passivi, che si sentono isolati e incapaci di relazionarsi con la civitas; caduti vittime di un insanabile pessimismo indotto in parte dalla sensazione di impotenza (che periodicamente raggiunge livelli parossistici di fronte alla ciclica morte di innocenti), in parte dall'esaurimento delle energie necessarie alla lotta quotidiana per l'affermazione delle regole, della democrazia – spesso messa a dura prova da un sistema autoreferenziale -, e dei diritti di tutti.

La rassegnazione non può entrare a fare parte della nostra cultura. E tanto meno possiamo consentire che le coscienze si intorpidiscano – rischio ancora più devastante nei suoi effetti - .

E' il momento di una riscossa delle coscienze che riparta dal basso attraverso un processo di riappropriazione del nostro ruolo di cittadini attivi, che possa consentirci, per l'appunto, di "riappropriarci" della città, in senso fisico e metaforico.

E' tempo di invertire il processo di alienazione dei cittadini dalle istituzioni e ristabilire con esse un dialogo biunivoco, che consenta alla "società civile" di contare nei processi decisionali che coinvolgono la collettività (cambiando l'ordine della loro dinamica: dal basso verso l'alto e non viceversa) e, contestualmente, alla stregua di una moderna agorà, di costruire, senza forme di passiva "assuefazione" al potere, un luogo di incontro e proposta che possa interloquire attivamente con le istituzioni in un rinnovato esercizio di "parresìa".

E allora,

"Buongiorno" Napoli:

- E' un "grido" di speranza e ottimismo. Il "giorno" presuppone che la "notte" sia ormai alle spalle.

- E' un'affermazione positiva di "attesa". Prelude al "nuovo" giorno che nasce dalle "nostre" mani, dopo che ci siamo lasciati il vecchio alle spalle.

- E' un saluto, per dire: «Eccoci, siamo qui! » . Troppe volte abbiamo sentito parlare di disfattismo e indifferenza dei cittadini per la cosa comune. Noi, invece, vogliamo dire di "esserci" ed essere pronti a fare la nostra parte.

Buongiorno Napoli

Alessandro Biamonte