giovedì 27 settembre 2007

Quantità e qualità politica

"Si potrebbe servirsi metaforicamente di questa legge per comprendere come un 'movimento' o tendenza di opinioni, diventa partito, cioè forza politica efficiente dal punto di vista dell'esercizio del potere governativo; nella misura appunto in cui possiede (ha elaborato al suo interno) dirigenti di vario grado e nella misura in cui essi dirigenti hanno acquisito determinate capacità. (..) Perciò si può dire che i partiti hanno il compito di elaborare dirigenti capaci, sono la funzione di massa che seleziona, sviluppa, moltiplica i dirigenti necessari perché un gruppo sociale definito (che è una quantità 'fissa', in quanto si può stabilire quanti sono i componenti di ogni gruppo sociale) si articoli e da caos tumultuoso diventi esercito politico organicamente predisposto." [A. Gramsci, Q.13]

Abbiamo assodato che non si può parlare di antipolitica e che, semmai, una tale locuzione è figlia della politica “ufficiale”, di “palazzo”. Ogni espressione di pensiero tesa ad influire sulla vita della collettività e in vista di un fine comune è politica.

Ma come tendere ad un fine comune? Come divenire sintesi – non caotica – di nuove istanze e concorrere alla vita democratica del paese?

In questi giorni, a parte il fenomeno delle V-Day, le cronache sono occupate dalla corsa alle liste del costituendo Partito Democratico.

Una prima notazione: nel panorama della seconda repubblica e del post – tangentopoli ritorna la parola “Partito”, messa al bando da miriadi di nuove espressioni (“Alleanza”, “Unione”, “Lista”) che erano divenute archetipo di una volontà di esorcizzare in fretta un passato con il quale non si volevano fare i conti.

Ed è da qui che bisogna ripartire.

Non dimentichiamo che il ruolo dei “partiti” è costituzionalizzato e l’articolo 49 della nostra Carta fondamentale sancisce il diritto di “tutti i cittadini” ad associarsi liberamente, per l’appunto, in “partiti” per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

La nuova frontiera, però, deve essere rappresentata dalla possibilità, aperta a “tutti”, di concorrere, democraticamente, alla vita del paese. E con essa anche al divenire dei partiti. Diversamente, l’enstabilishment partitico (quello che oggi parla con disprezzo di “antipolitica”) avrà sempre di che lagnarsi, posto che vi sarà sempre qualcuno che, a ragione, rivendicherà il suo diritto di cittadinanza attiva.

Il distacco tra governanti e governati, l’incomunicabilità tra cittadini e rappresentanti istituzionali, giunta a livelli parossistici, è stata favorita, purtroppo, dalla creazione di blocchi di potere, vere e proprie “cricche” (per utilizzare una espressione icastica e utilizzata dallo stesso Gramsci), che sono divenute negazione dell’essere-politica, tradendo la stessa aspirazione del Costituente volta a tutelare il diritto di “tutti” i cittadini a partecipare con il proprio apporto concreto (questo di senso dell’ espressione “concorrere”) alla vita democratica.

Quindi, anche all’interno dei partiti si finisce con il contare in modo direttamente proporzionale al numero di voti. E non è il caso di soffermarsi su quale sia il reale prezzo del consenso elettorale, soprattutto in termini di clientelismo.

Il trionfo della quantità, a discapito della qualità.

E’ questo il rischio più grande, che finisce con il trasformarsi, da una parte, in perdita di rappresentatività, dall’altra in grave esclusione di una rilevante fetta del paese reale dalla possibilità di partecipare alla vita delle istituzioni, a tutto favore dei “portatori di voti” (questi sì “antipolitici” – in quanto negazione della dignità che dovrebbe caratterizzare l’impegno politico-).

In breve, essere votati non equivale ad essere veri politici. Ed è arrivato il momento di consentire ai cittadini, in quanto tali, di partecipare ai nuovi processi di trasformazione in atto.

La stessa corsa al seggio per le primarie (e con essa i metodi di cooptazione all’interno delle liste) rischia di dissimulare un sistema gattopardesco di autoconservazione, laddove non accompagnata a meccanismi compensativi che garantiscano la concreta partecipazione di tutti, senza distinzione alcuna, e di forze realmente nuove nei metodi e nell’approccio politico.

Se non sarà così, temo che il fuoco della cosiddetta “antipolitica” difficilmente si placherà.