Buongiorno Napoli
mercoledì 24 dicembre 2008
Attese di coralità. Auguri!
domenica 30 novembre 2008
Un uomo
Il momento di «generale sofferenza» per la nostra città, come ha ricordato il frate francescano celebrante nella cappella delle Clarisse, può essere superata solo dal nostro essere-uniti per la costruzione di un reale bene comune, che costituisce la risultante di rapporti autentici ed energie disinteressate.
martedì 5 agosto 2008
La capitale dell'autoinganno. Come continuare a non sentirsi "stupidi" e non vivere solo di "simpatia". Uccidiamo Pulcinella?
A tal proposito, Guido Piovene, dopo aver definito Napoli e i napoletani «ondeggianti tra l' autocritica e l' autoinganno» (io propenderei solo per la seconda delle due caratteristiche) richiama un aneddoto che vede protagonista un intellettuale francese giunto (e stabilitosi) a Napoli per una missione culturale. Il transalpino ostenta un motto sulla soglia del proprio ufficio: "Chi non ama Napoli è uno Stupido".
sabato 2 agosto 2008
Ricominciamo?
mercoledì 2 luglio 2008
Ricominciamo da qui.
Napoli, 2 luglio 2008. Piazza Plebiscito: simbolo di questa città immutabile, nel bene e nel male.
Due orchestre sinfoniche e due cori, uniti dalla prestigiosa bacchetta di Zubin Mehta.
Un evento senza pari nel passato, questa Nona di Beethoven.
“Fate presto”, titolava a nove colonne il Mattino del 24 novembre 1980, storicamente eternato in una provocatoria (e dimenticata) opera di Andy Warhol. “Fare qualcosa per una Napoli culla di cultura e di una straordinaria civiltà musicale, oggi mortificata e oltraggiata” dice oggi il grande Zubin Mehta, che rinuncia al suo cachet (quasi un monito ai nostri politicanti locali, spesso pronti ad accapigliarsi per un incarico, una poltrona o, peggio, un gettone) per dirigere quella che definisce “sigla ideale per una rinascita”.
Raccogliamo l’auspicio del Maestro. Vorremmo che fosse così. Dobbiamo e vogliamo crederci. A condizione di recuperare la nostra dignità di cittadini.
Avrete notato la mia assenza, da un po’ di tempo, dal blog e da varie occasioni di dibattito pubblico. E’ una provocazione in un momento in cui il ciclico dibattito polemico sulla città e sulle sue “magnifiche sorti” sta dando segno di stabile cronicizzazione, il tutto ad alimentare solo parole in un momento in cui dovrebbe prevalere finalmente il senso di un civico fare, espressione dell’essere-comunità.
Lasciamo, almeno oggi, parlare il linguaggio universale ed eterno della musica.
mercoledì 30 aprile 2008
Il re è nudo! Ovvero: se non diventerete come bambini.
Degli imbonitori che, sotto le mentite spoglie di abili tessitori, convincendolo delle loro straordinarie capacità, pontificano le qualità del formidabile tessuto che essi soli intessono, sottile, leggero e incomparabile, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni.
Uno stuolo di cortigiani che, pur non riuscendo a vedere il “formidabile” ordito, lodano la magnificenza del tessuto del sovrano.
Il re, che, pur rendendosi conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché (così come i cortigiani menzogneri), si mostra estasiato per il lavoro dei tessitori, al punto da sfilare col suo “nuovo vestito” per le vie della città tra nugoli di folla paludente che loda a gran voce l'eleganza del sovrano.
Un incantesimo che si spezza, quando, nella sua disarmante semplicità, un bimbo grida: “Il re è nudo!”.
Non occorre aggiungere altro. La notissima fiaba parla da sé.
E di recente non sono mancati i paradossi sintetizzabili in commenti – avulsi dalla realtà– che parlavano di improbabili di vittorie locali del PD (cito una tra tutte: “In Campania il PD è cresciuto”), pur di non avviare un reale percorso costituente, volto a ridiscutere metodi, mezzi, strumenti, persone e processi di inclusione democratica, che consentissero (ma aggiungo: consentano) concretamente di dare corpo e forma ad un progetto che, in potenza, si dimostra innovativo e realmente in grado di imprimere un importante corso politico.
Abbiamo fugacemente riflettuto, senza la pretesa di compiere un’analisi esaustiva, sul dato elettorale. Ora, dopo Roma, l’ennesima conferma.
L’incapacità di interpretare i segnali che provengono dal basso, ha fatto il resto. Una incolmabile frattura che attende di essere colmata. Dialogo biunivoco, attitudine a far tesoro anche delle ragioni dei dissensi interni, e partecipazione «orizzontale» sono passaggi imprescindibili. Democrazia partecipata e di «prossimità» gli obiettivi.
Si apre una nuova fase di riflessione.
Questo post si inserisce tra due importanti date: il 25 aprile, anniversario della Liberazione, e il Primo maggio, festa dei lavoratori.
Alla nostra Costituzione, nel suo sessantesimo anniversario, ai suoi Valori fondanti, che poggiano su quel moto di orgoglio che unì l’Italia tutta e in particolare Napoli, medaglia d’oro della Resistenza, - città oggi purtroppo vittima della sua stessa disillusione -, dobbiamo ancora una volta, oggi, guardare.
martedì 15 aprile 2008
E' morto il re. Viva il re!
Un processo di semplificazione netta indotto da un sistema elettorale che, con le sue soglie di sbarramento, non lasciava scampo.
Al di là del risultato, sicuramente ne esce vincente l’intuizione di Walter Veltroni e la sua scelta di lanciare, da solo, il Partito Democratico verso una nuova stagione del Paese. Idea che ha sbaragliato l’avversario, indotto a fare – in parte – altrettanto con una “coalizione” simil–partito, salvo – quest’ultimo – travolgere a sua volta il primo in termini elettorali e conquistare la maggioranza (ma questo è un discorso a parte).
Tuttavia va anche riflettuto sul significato (e sugli effetti) dell’estromissione, dal Parlamento, di storiche esperienze politiche (socialisti e sinistra radicale), espressione di valori identitari forti (anche per tradizione), oltre che di una significativa fetta di elettorato rimasta priva di rappresentanti.
Riflessione, questa, che si fa più pregnante se solo si considera che alla nuova fase costituente parteciperanno auspicabilmente (al bando ogni riforma delle istituzioni a colpi di maggioranza) due soli grandi partiti, oltre ad un movimento a fortissima connotazione localistica (e al suo relativo micro-clone), mentre alla stesura della nostra sessantennale (ma sempre nuova nei valori) Costituzione presero parte tutte le espressioni politiche del Paese. Non senza dimenticare che i maldestri tentativi di modificare unilateralmente i sapienti equilibri di pesi e contrappesi dei nostri padri costituenti sono prima o poi destinati a fallire, come ammonisce il maturo risultato del referendum costituzionale con il quale il popolo italiano – dimostrando alta sensibilità istituzionale - bocciò il pessimo disegno di legge partorito dai “saggi” del centrodestra tra il 2004 e il 2005. E di tale volontà popolare non potrà non tenersi conto nel ridisegnare l’assetto complessivo dello Stato, salvo dare sprezzante prova di un atteggiamento di aperta rottura nei confronti della prassi costituzionale.
Il cammino da compiere, in definitiva, è ancora lungo e bisognerà attendersi degli assestamenti che pongano in atto nuovi processi inclusivi attraverso meccanismi compensativi.
Al tempo stesso è il momento di ripartire dal basso e riscoprire il sempre più senso di una democrazia che nasce dalla gente e si alimenta di dialogo e discussione, facendo tesoro di quanto l’esercizio dialettico mette in luce giorno per giorno.
giovedì 10 aprile 2008
My deliberative democracy
Avendo ben presente, mutuandola dalla lingua inglese, la doppia radice semantica dell’aggettivo «deliberativo» (deliberative), inteso al tempo stesso come espressione sinonimo di «decisione», ma anche di «discussione».
Mi piace, allora, pensare ad una «democrazia di prossimità», dove la partecipazione dal basso diviene essenza stessa della politica, aspirando ad un rapporto osmotico governanti – governati nell'ambito di processi inclusivi.
In un momento storico in cui la contumelia dell’attacco alle Istituzioni – espressione dei valori costituzionali in cui noi tutti dobbiamo riconoscerci - è eretta a stile di vita e costituisce l’indice sistematico di una insofferenza verso tutto ciò che ci unisce nel bene come «cittadini», e dove la demagogica fuga dalle responsabilità (compreso il disinteresse per la cosa comune e la tentazione di astenersi in occasione delle competizioni elettorali) diviene la strada più facile da percorrere da parte di persone comprensibilmente deluse, ritengo più che mai necessario un moto di orgoglio da parte di ciascuno.
La democrazia cammina sulle nostre gambe. Non fermiamoci.
mercoledì 27 febbraio 2008
Cercasi un fine. Ovvero: al voto, al voto!
Così tuonava Lorenzo Milani circa quarant’anni fa.
Veniamo ai nostri giorni: al voto, al voto! E un referendum nel cassetto. Una coraggiosa e rivoluzionaria scelta di semplificazione – quella di “Uolter” – che pare mettere in crisi meccanismi consolidati. Ora alla prova del nove: la formazione delle liste. Vecchi privilegi, successioni dinastiche e modalità di cooptazione duri a morire. Eppure sarebbe così semplice se il fine fosse sempre uno solo, quello del "servizio" alla collettività. Perché in questo caso – al bando la brama del cursus honorum (molto in voga soprattutto dalle nostre parti) – il motore sarebbe quello del percorso condiviso tra chi è chiamato a farsi rappresentante e chi rappresentato.
Compiuti i tradizionali riti della politica, è arrivato, ancora una volta, il tempo delle scelte.
Invertiamo l’ordine e la dinamica del discorso. L’espressione "tempo delle scelte", così estrapolata rievocherebbe un discorso da "unti del Signore", che, sotto minaccia di chi sa quali sciagure, incitano alle scelte "giuste" – quelle, cioè, che si riconducono «solo» alla «loro» ricetta (calata dall’alto) –.
Il riferimento alla «sovranità», però, ristabilisce gli equilibri: il processo decisionale si muove dal basso verso l’alto, e non viceversa.
Dunque, basta elemosine. Riscopriamo il senso di "sovranità". Rivendichiamo un ruolo attivo, il "nostro" inalienabile diritto a "concorrere" personalmente con metodo democratico alla vita del paese. Non consentiamo «espropri».
Il rinnovamento nasce da noi. Perché come abbiamo già ricordato: "Tocchi in un punto e…".
martedì 22 gennaio 2008
Tanto tuonò che piovve
martedì 8 gennaio 2008
Io so
sabato 22 dicembre 2007
Autocoscienza e responsabilità
Niente di nuovo sotto il cielo. E sotto l'albero.
Cosa augurarci allora in vista delle prossime festività?
Tutto è come un oceano.
Auguri!
Municipalità, "mini"assessori e "aperture" della politica
Una municipalità.
Una stanza.
Quella del Presidente.
Una porta. Aperta.
martedì 30 ottobre 2007
"Ri"organizzare la speranza
lunedì 29 ottobre 2007
La governance dell'informazione
Finalmente l'annuncio nell'aprile 2007 del Ministro Rutelli: Napoli avrebbe avuto "un evento" per ben tre anni di seguito, divenendo "palcoscenico" del Teatro Festival Italia.e di nuovo
Non è passato molto tempo che, al festoso annuncio, con la mente allo storico evento di Assisi del 1986, si è aggiunta la conferma della presenza di Papa Ratzinger all'incontro internazionale delle religioni per la Pace, in programma appena una settimana dopo il Teatro Festival. Qualcuno, con non poca enfasi autocelebrativa, ha incominciato a parlare di "spirito di Napoli" (sulla scia della frase coniata in occasione della giornata di Assisi).
Un doppio evento di grande rilievo, che avrebbe dovuto moltiplicare l'attenzione positiva dei media nazionali e internazionali su Napoli.
Niente di tutto ciò.
Entrambi gli eventi sono stati relegati, dai mezzi di comunicazione, a vicende locali.
Sfido chiunque a recuperare sui media nazionali e internazionali, soprattutto per ciò che riguarda il prossimo incontro per la Pace (del quale addirittura la maggioranza dei napoletani ignora l'imminente celebrazione), compiute notizie in merito sulle prime pagine.
Nessuna notizia nelle cronache, almeno nazionali (non dico internazionali), del Teatro Festival Italia, mentre stiamo assistendo in questi giorni ad un vero e proprio tam tam sul festival del cinema romano. Di contro le prime pagine non lesinavano spazio alle sempiterne e tragiche vicende di sangue.
Senza arrendersi ad un atteggiamento piagnone (che per quanto mi riguarda non appartiene alla storia personale del sottoscritto - pronto a valutare acriticamente e con distacco i limiti del sistema partenopeo -), credo sia arrivato il momento di riflettere seriamente sulla governance dell'informazione: sia sull'incapacità della città di fare pensare in positivo di sé al suo esterno (a livello nazionale e internazionale) - uscendo da un lento processo di inesorabile provincializzazione -, sia sulla inidoneità dei flussi di informazione positivi (o meglio delle modalità in cui essi vengono offerti ai media) a prevalere (senza offrire ovviamente una visione distorta della realtà) su quelli perennemente di segno opposto, o quanto meno, a equilibrare un quadro che, agli occhi, dell'osservatore esterno appare definitivamente compromesso.
E' un aspetto sottovalutato, perché periodicamente ci si limita - da parte dei governanti locali -, a invocare, di fronte a evidenti situazioni di crisi, la tesi del "complotto" antinapoletano, ma poi si affossa la città nel pozzo senza fondo del suo provincialismo.
E allora qualsiasi evento "calato dall'alto" finirà con il diventare uno spreco di risorse umane ed economiche, utile solamente ad alleviare le "piaghe" del malato locale e a offrire un contentino di orgoglio ad un popolo che si avvia ad essere spogliato della sua dignità.
mercoledì 17 ottobre 2007
Eccellenza e le eccellenze
(dalla installazione permanente Terrae motus, Reggia di Caserta)
giovedì 27 settembre 2007
Quantità e qualità politica
Abbiamo assodato che non si può parlare di antipolitica e che, semmai, una tale locuzione è figlia della politica “ufficiale”, di “palazzo”. Ogni espressione di pensiero tesa ad influire sulla vita della collettività e in vista di un fine comune è politica.
Ma come tendere ad un fine comune? Come divenire sintesi – non caotica – di nuove istanze e concorrere alla vita democratica del paese?
In questi giorni, a parte il fenomeno delle V-Day, le cronache sono occupate dalla corsa alle liste del costituendo Partito Democratico.
Una prima notazione: nel panorama della seconda repubblica e del post – tangentopoli ritorna la parola “Partito”, messa al bando da miriadi di nuove espressioni (“Alleanza”, “Unione”, “Lista”) che erano divenute archetipo di una volontà di esorcizzare in fretta un passato con il quale non si volevano fare i conti.
Ed è da qui che bisogna ripartire.
Non dimentichiamo che il ruolo dei “partiti” è costituzionalizzato e l’articolo 49 della nostra Carta fondamentale sancisce il diritto di “tutti i cittadini” ad associarsi liberamente, per l’appunto, in “partiti” per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
La nuova frontiera, però, deve essere rappresentata dalla possibilità, aperta a “tutti”, di concorrere, democraticamente, alla vita del paese. E con essa anche al divenire dei partiti. Diversamente, l’enstabilishment partitico (quello che oggi parla con disprezzo di “antipolitica”) avrà sempre di che lagnarsi, posto che vi sarà sempre qualcuno che, a ragione, rivendicherà il suo diritto di cittadinanza attiva.
Il distacco tra governanti e governati, l’incomunicabilità tra cittadini e rappresentanti istituzionali, giunta a livelli parossistici, è stata favorita, purtroppo, dalla creazione di blocchi di potere, vere e proprie “cricche” (per utilizzare una espressione icastica e utilizzata dallo stesso Gramsci), che sono divenute negazione dell’essere-politica, tradendo la stessa aspirazione del Costituente volta a tutelare il diritto di “tutti” i cittadini a partecipare con il proprio apporto concreto (questo di senso dell’ espressione “concorrere”) alla vita democratica.
Quindi, anche all’interno dei partiti si finisce con il contare in modo direttamente proporzionale al numero di voti. E non è il caso di soffermarsi su quale sia il reale prezzo del consenso elettorale, soprattutto in termini di clientelismo.
Il trionfo della quantità, a discapito della qualità.
E’ questo il rischio più grande, che finisce con il trasformarsi, da una parte, in perdita di rappresentatività, dall’altra in grave esclusione di una rilevante fetta del paese reale dalla possibilità di partecipare alla vita delle istituzioni, a tutto favore dei “portatori di voti” (questi sì “antipolitici” – in quanto negazione della dignità che dovrebbe caratterizzare l’impegno politico-).
In breve, essere votati non equivale ad essere veri politici. Ed è arrivato il momento di consentire ai cittadini, in quanto tali, di partecipare ai nuovi processi di trasformazione in atto.
La stessa corsa al seggio per le primarie (e con essa i metodi di cooptazione all’interno delle liste) rischia di dissimulare un sistema gattopardesco di autoconservazione, laddove non accompagnata a meccanismi compensativi che garantiscano la concreta partecipazione di tutti, senza distinzione alcuna, e di forze realmente nuove nei metodi e nell’approccio politico.
Se non sarà così, temo che il fuoco della cosiddetta “antipolitica” difficilmente si placherà.
giovedì 13 settembre 2007
Politica e antipolitica: due facce (fungibili) della stessa medaglia
l'agorà di Santiago Calatrava - Atene
In questi giorni c'è un gran parlare di politica e antipolitica. Gli "uni" (politici di professione al potere) bollano gli "altri" come espressione dell'"antipolitica". Le accuse di questi ultimi, ampiamente condivise - secondo le statistiche - dall'opinione pubblica, richiamano all'ordine i professionisti della politica che, senza distinzioni tra destra e sinistra, si
Ma cos'è "politica" e cosa si definisce invece "antipolitica"? Quali sono i confini? Dove finisce l'una e inizia l'altra?
E' proprio giusto parlare di "anti"politica? O invece si tratta di due facce di una stessa medaglia? Etimologicamente il suffisso "anti" - dal greco antì - individua uno stato di contrapposizione ad uno stato di fatto; quindi, secondo l'accezione che stanno tentando di accreditare (mistificandone la portata), dovrebbe significare un rifiuto della dimensione politica. Esattamente il contrario di quanto la piazza rivendica.
A questo punto ognuno dei due blocchi, rivendicando per sé l'"essere-politica", potrebbe "bollare" l'altro di "antipolitica".
Fino a quando ci sarà una demonizzazione dell'avversario, o meglio una contrapposizione in blocchi, con categorizzazioni imposte dalla classe dominante, non si farà un passo avanti.
La politica parte dal basso e il nostro stesso agire è "politica". E' dunque errato parlare di antipolitica e, ancor di più, affibbiare tale odioso appellativo a chi dimostra in ogni caso di essere portatore di istanze.
E infine, dalle piazze, un monito per i "professionisti" della politica (fermo restando che la politica non è una professione): la partecipazione democratica alla cosa pubblica e alla vita del Paese è un diritto intangibile (oltre che costituzionalmente garantito). Non paga chiudersi in una lobby impermeabile all'esterno per curare il proprio orticello. Aprire quanto più è possibile agli altri e condividere l'esperienza sono aspetti da curare ogni giorno. E soprattuto una consapevolezza: il "consenso" è un dato effimero, destinato a dissolversi in un lampo. Men che non si dica.
Quindi incominciamo ad essere "Politica" insieme. Davvero.
A voi la parola.
martedì 7 agosto 2007
Per vivere dentro le cose da cambiare
martedì 31 luglio 2007
La costituente del partito oligocratico
La conventio ad excludendum è perennemente in agguato e costituisce lo strumento più forte per l’autoconservazione di una casta politica trasversale, che tralascia il contatto con i cittadini (cellula primigenia, anzi essenza stessa della politica), ritenendo, con presunzione, di essere il filtro di tutto ciò che riguarda la cosa pubblica.
Vi siete mai chiesti cosa mai si dicono i politici nei loro conventicoli privati? Non è forte la sensazione che avvenga qualcosa alle nostre spalle, a nostra insaputa e senza la nostra partecipazione?
Noi crediamo invece ad una dimensione partecipata della democrazia. E non vogliamo rinunciarvi: “uscire da soli dai problemi è egoismo, uscirne insieme è politica” ammonisce Don Milani in “Lettere ad una professoressa” e come più volte abbiamo ricordato.
E’ ancora possibile vivere la politica come partecipazione democratica? O dobbiamo rinunciarvi?
E’ ancora possibile pensare e tendere a cose alte?
Io spesso penso ai discorsi che si scambiavano i Padri costituenti. E li metto in contrasto con l’inconsistenza delle vuote parole dei “nostri” politici che, anche tra loro - nei corridoi del potere e alle cene degli “esclusi” - fanno a gara a rincorrere l’effimero di turno, per essere appagati da un irragiungibile primato.
E poi: possiamo accontentarci di essere solo spettatori?
Attendo una vostra risposta
mercoledì 11 luglio 2007
Napoli e la buona novella
Penso all’allarme lanciato dall’ambasciata USA e ai relativi battibecchi con il Sindaco; ai dati CENSIS sulle presunte diminuzioni statistiche degli episodi di microriminalità; alle contestazioni sorte in merito alle dichiarazioni dell’Assessore Gambale che, nel corso del convegno organizzato da “L’altra Napoli”, invitava giustamente a non perdere di vista la pervasiva (e sotterranea) presenza della camorra nel tessuto vitale cittadino a favore di visioni parziali tutte orientate a soffermarsi sulla punta dell’iceberg costituita da scippi e rapine (espressione comunque di un sistema criminale unificato, come ci ha ricordato Saviano in Gomorra).
L’impressione generale è di una nuova corsa al massacro – deleteria nei suoi effetti – che sta sconvolgendo il panorama delle cronache, aggiungendo tinte fosche ad un quadro già disperato.
E’ invece sempre più forte l’esigenza di rimettere in moto un circolo virtuoso che consenta alle energie positive della città di emergere, fare mostra di sé e, soprattutto creare notizia in positivo.
Dall’altro, è innegabile prendere atto della necessità di coinvolgere il più ampio numero di cittadini – che in un simile contesto si sentono ormai demotivati a lottare - in una rinnovata tenzone all’affermazione dei principi di legalità e democrazia partecipata.
E’ da qui che bisogna ripartire, tenendo ben presente che, fin quando notizie e opinione pubblica risultano assorbite da polemiche fini a se stesse, l’unico a trarne giovamento è il sistema camorristico illegale, vivo e vegeto più che mai nei suoi multiformi aspetti.
giovedì 5 luglio 2007
Piccoli saggi crescono
In breve, l’auspicio per i mali del genere umano e della società è riposto nel governo dei “sapienti” o “saggi” che dir si voglia.
A leggere i titoli dei giornali che ci “narrano” l’epopea del sempre più nutrito gruppo di “saggi” (prima 40, poi 60 infine, ad oggi, 78), nel comitato provinciale del costituendo Partito democratico, c’è da dormire sonni tranquilli per il nostro futuro.
Ammesso che sia dato comprendere da chi discenda l’attribuzione di questo epiteto e quale esame debba superarsi per entrare in un novero così esclusivo (al punto da innescare una gara al “ripescaggio”) ed essere qualificati saggi.
Così come, senza scomodare Hegel, sarebbe interessante individuare i criteri utilizzati per discernere i veri appartenenti alla “società civile”, che sono davvero meritevoli (bontà loro) di una cooptazione in questa squadra.
Novità o istinto di autoconservazione?