l'agorà di Santiago Calatrava - Atene
Parole profetiche quelle del nostro precedente post.
In questi giorni c'è un gran parlare di politica e antipolitica. Gli "uni" (politici di professione al potere) bollano gli "altri" come espressione dell'"antipolitica". Le accuse di questi ultimi, ampiamente condivise - secondo le statistiche - dall'opinione pubblica, richiamano all'ordine i professionisti della politica che, senza distinzioni tra destra e sinistra, si
In questi giorni c'è un gran parlare di politica e antipolitica. Gli "uni" (politici di professione al potere) bollano gli "altri" come espressione dell'"antipolitica". Le accuse di questi ultimi, ampiamente condivise - secondo le statistiche - dall'opinione pubblica, richiamano all'ordine i professionisti della politica che, senza distinzioni tra destra e sinistra, si
ritrovano "stranamente" concordi (una volta tanto).
Ma cos'è "politica" e cosa si definisce invece "antipolitica"? Quali sono i confini? Dove finisce l'una e inizia l'altra?
E' proprio giusto parlare di "anti"politica? O invece si tratta di due facce di una stessa medaglia? Etimologicamente il suffisso "anti" - dal greco antì - individua uno stato di contrapposizione ad uno stato di fatto; quindi, secondo l'accezione che stanno tentando di accreditare (mistificandone la portata), dovrebbe significare un rifiuto della dimensione politica. Esattamente il contrario di quanto la piazza rivendica.
A questo punto ognuno dei due blocchi, rivendicando per sé l'"essere-politica", potrebbe "bollare" l'altro di "antipolitica".
Fino a quando ci sarà una demonizzazione dell'avversario, o meglio una contrapposizione in blocchi, con categorizzazioni imposte dalla classe dominante, non si farà un passo avanti.
La politica parte dal basso e il nostro stesso agire è "politica". E' dunque errato parlare di antipolitica e, ancor di più, affibbiare tale odioso appellativo a chi dimostra in ogni caso di essere portatore di istanze.
E infine, dalle piazze, un monito per i "professionisti" della politica (fermo restando che la politica non è una professione): la partecipazione democratica alla cosa pubblica e alla vita del Paese è un diritto intangibile (oltre che costituzionalmente garantito). Non paga chiudersi in una lobby impermeabile all'esterno per curare il proprio orticello. Aprire quanto più è possibile agli altri e condividere l'esperienza sono aspetti da curare ogni giorno. E soprattuto una consapevolezza: il "consenso" è un dato effimero, destinato a dissolversi in un lampo. Men che non si dica.
Quindi incominciamo ad essere "Politica" insieme. Davvero.
A voi la parola.
Ma cos'è "politica" e cosa si definisce invece "antipolitica"? Quali sono i confini? Dove finisce l'una e inizia l'altra?
E' proprio giusto parlare di "anti"politica? O invece si tratta di due facce di una stessa medaglia? Etimologicamente il suffisso "anti" - dal greco antì - individua uno stato di contrapposizione ad uno stato di fatto; quindi, secondo l'accezione che stanno tentando di accreditare (mistificandone la portata), dovrebbe significare un rifiuto della dimensione politica. Esattamente il contrario di quanto la piazza rivendica.
A questo punto ognuno dei due blocchi, rivendicando per sé l'"essere-politica", potrebbe "bollare" l'altro di "antipolitica".
Fino a quando ci sarà una demonizzazione dell'avversario, o meglio una contrapposizione in blocchi, con categorizzazioni imposte dalla classe dominante, non si farà un passo avanti.
La politica parte dal basso e il nostro stesso agire è "politica". E' dunque errato parlare di antipolitica e, ancor di più, affibbiare tale odioso appellativo a chi dimostra in ogni caso di essere portatore di istanze.
E infine, dalle piazze, un monito per i "professionisti" della politica (fermo restando che la politica non è una professione): la partecipazione democratica alla cosa pubblica e alla vita del Paese è un diritto intangibile (oltre che costituzionalmente garantito). Non paga chiudersi in una lobby impermeabile all'esterno per curare il proprio orticello. Aprire quanto più è possibile agli altri e condividere l'esperienza sono aspetti da curare ogni giorno. E soprattuto una consapevolezza: il "consenso" è un dato effimero, destinato a dissolversi in un lampo. Men che non si dica.
Quindi incominciamo ad essere "Politica" insieme. Davvero.
A voi la parola.
9 commenti:
*Ma quale antipolitica*
*Marco Travaglio*
A vedere i telegiornali di regime, cioè praticamente tutti, sabato a Bologna
e nelle altre piazze non è successo niente (molto spazio invece al
matrimonio di Baldini, l'amico di Fiorello). A leggere i giornali di regime
(molti), il V-Day è stato il trionfo dell'«antipolitica», del «populismo»,
del «giustizialismo» e del «qualunquismo». In un Paese che ha smarrito la
memoria e abolito la logica, questa inversione del vocabolario ci sta tutta:
la vera politica diventa antipolitica, la partecipazione popolare diventa
populismo, la sete di giustizia diventa giustizialismo, fare i nomi dei
ladri anziché urlare «tutti ladri» è qualunquismo.
E infatti, che il V-Day fosse antipolitico, populista, giustizialista e
qualunquista, lorsignori l'avevano stabilito prim'ancora di vederlo, di
sapere che cos'era. A prescindere. Non sapevano e non sanno (non c'erano)
che per tutta la giornata, in 200 piazze d'Italia e all'estero, migliaia di
giovani dei Meet-up grilleschi hanno raccolto 300 mila firme (ne bastavano
50 mila) in calce a una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede
il divieto per i condannati di entrare in Parlamento, il tetto massimo di
due legislature per i parlamentari e la restituzione ai cittadini del
diritto di scegliersi i propri rappresentanti sulla scheda elettorale. Cioè
hanno esercitato un diritto previsto dalla Costituzione, quello di portare
all'attenzione delle Camere tre questioni «politiche» quant'altre mai. E
l'hanno fatto con l'arma più antica e genuina di ogni democrazia: la
manifestazione di piazza.
Quella piazza che, quando la occupano Berlusconi e Bossi e Casini e Mastella
per chiedere cose incostituzionali, tutti invitano ad «ascoltare». E quando
la occupano un milione di persone senza etichette né bandiere (tante erano
mal contate, sabato, da Bologna a New York, se alle 20 i firmatari della
petizione erano 300 mila, altrettanti erano ancora in fila a mezzanotte e
molti di più avevano desistito per fare ritorno a casa) diventa un obbrobrio
da ignorare e rifuggire.
Mentre, nel V-Day after, riparto da Bologna per tornare a casa, chiamo Beppe
Grillo per commentare a mente fredda: lui mi racconta, ridendo come un
pazzo, che gli ha telefonato il suo vecchio manager, «Cencio» Marangoni, per
dirgli che a Villanova di Bagnacavallo c'è ancora la fila ai banchetti. E a
Villanova di Bagnacavallo sono quattro gatti, perlopiù di una certa età, e
chissà come han fatto a sapere che c'erano i banchetti visto che non l'ha
detto nessuna tv e quasi nessun giornale. Ma se a Villanova di Bagnacavallo
si firma ancora, forse questa non è antipolitica: questa è superpolitica. È
antipolitica difendere la dignità del Parlamento infangata dalla presenza di
24 pregiudicati e un'ottantina di indagati, imputati, condannati provvisori
e prescritti? È antipolitica chiedere di restituire la sovranità al popolo
con una legge elettorale qualsiasi, purchè a scegliere gli eletti siano gli
elettori e non gli eletti medesimi? È antipolitica pretendere che la
politica torni a essere un servizio che si presta per un limitato periodo di
tempo (dieci anni al massimo), dopodichè si torna a lavorare o, se s'è mai
fatta questa esperienza, si cerca un lavoro come tutti gli altri? È
antipolitica chiedere rispetto per i magistrati e dire grazie a Clementina
Forleo e ai giudici indipendenti come lei? Chi era a Bologna in piazza
Maggiore, o in collegamento nel resto d'Italia e all'estero, ha visto decine
di migliaia di persone restare in piedi da mezzogiorno a mezzanotte. Ha
sentito Grillo chiedere il superamento «di questi» partiti, i partiti delle
tessere gonfiate, dei congressi fasulli, delle primarie dimezzate (vedi
esclusione di Furio Colombo, Di Pietro e Pannella), della legge uguale per
gli altri; smentire di volerne creare uno nuovo; e rammentare che gli
«abusivi» da cacciare non sono ambulanti e lavavetri, ma politici e
banchieri corrotti o collusi. Un economista, Mauro Gallegati, spiegare i
guasti del precariato in un mercato del lavoro senza mercato e senza lavoro.
Un grande architetto come Majowiecki illustrare i crimini cementiferi che i
suoi colleghi seminano per l'Italia e per l'Europa con la complicità di
amministratori scriteriati, e le possibili alternative verso un modo
«leggero» di pensare e costruire città e infrastrutture. Alessandro
Bergonzoni spiegare la partecipazione democratica con una travolgente
affabulazione («Chi è Stato? Io sono Stato»). Un esperto di energie
alternative come Maurizio Pallante raccontare quel che si potrebbe fare nel
settore ambientale ed energetico al posto di inceneritori,
termovalorizzatori, centrali a carbone e treni ad alta velocità per le
mozzarelle. I ragazzi di Locri lanciare l'ennesimo grido di dolore dalla
Calabria della malavita e della malapolitica. Il giudice Norberto Lenzi
rischiare il procedimento disciplinare per avvertire che il berlusconismo è
vivo e lotta insieme a noi, anche a sinistra. Sabina Guzzanti prendere per i
fondelli la deriva fuffista e conformista dell'informazione. I genitori
familiari di Federico Aldovrandi raccontare, in un silenzio misto a lacrime,
la tragedia del figlio morto due anni fa durante un «controllo di polizia».
Massimo Fini tenere una lezione sul tramonto della democrazia
rappresentativa citando Kelsen, Mosca e Pareto. Il giornalista Ferruccio
Sansa sintetizzare la sua inchiesta sul «tesoretto» da 100 miliardi di euro
che lo Stato non ha mai riscosso dai concessionari, spesso malavitosi, dei
videopoker e altri giochi, una mega-evasione fiscale scoperta dal pm
Woodcock e dalla Guardia di Finanza, ma coperta da incredibili silenzi
governativi.
Alla fine ho parlato anch'io: ho ricordato Lirio Abbate minacciato dalla
mafia; ho cercato di spiegare che la tolleranza zero deve cominciare, come
nella New York di Giuliani, dai mafiosi e dai corrotti, non dai lavavetri e
dagli ambulanti; e ho difeso Cofferati, che avrà tanti difetti, ma non
quello di partire dai poveracci, visto che prima ha preteso legalità dagli
imprenditori sullo Statuto dei lavoratori. Ho fatto parecchi nomi e cognomi,
come tutti gli altri sul palco di piazza Maggiore. Ora scopro che fare i
nomi sarebbe «qualunquismo»: e parlare in generale per non dire niente,
allora, che cos'è?
Dieci cento mille Piazza Maggiore
V-Day
UP UP UP UP UP UP
E'politica usare l'aereo per andare al gran premio?
E' politica rinunciare ad andare a piedi per l'autoblu?
E le piazze sarebbero "antipolitica"?
... Ma fatemi il piacere!
E' politica rivendicare la legalità ad ogni livello, quando in questo straccio di città anche chi sta al vertice si leva a difendere i parcheggiatori abusivi e a non muovere un dito per far sì che le cose girino nel modo giusto
Politica è COINVOLGERE tutti alla partecipazione nella gestione della cosa pubblica.
Antipolitica è ESCLUDERE la gente da ciò che la riguarda
Vorrei solo far notare una cosa.
La presenza del nostro blog passa in silenzio nell'opinione pubblica.
Addirittura, nonostante l'impegno nella diffusione della notizia della sua esistenza, c'è quasi un disegno sotterraneo da parte della stampa di non far trapelare alcuna notizia.
Siamo stanchi di questo distacco impostoci da chi sta al potere. Travolti dall'egoismo più bieco, si ricordano di noi solo per le elezioni e non ci coinvolgono mai.
Se qualcuno "osa" criticare è bollato di antipolitica.
Se qualcun altro alza la voce per dire la sua, ecco levarsi l'insofferenza del politiconzolo di turno.
E per il resto si naviga a vista. FUITEVENNE
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