giovedì 13 settembre 2007

Politica e antipolitica: due facce (fungibili) della stessa medaglia


l'agorà di Santiago Calatrava - Atene

Parole profetiche quelle del nostro precedente post.
In questi giorni c'è un gran parlare di politica e antipolitica. Gli "uni" (politici di professione al potere) bollano gli "altri" come espressione dell'"antipolitica". Le accuse di questi ultimi, ampiamente condivise - secondo le statistiche - dall'opinione pubblica, richiamano all'ordine i professionisti della politica che, senza distinzioni tra destra e sinistra, si
ritrovano "stranamente" concordi (una volta tanto).
Ma cos'è "politica" e cosa si definisce invece "antipolitica"? Quali sono i confini? Dove finisce l'una e inizia l'altra?
E' proprio giusto parlare di "anti"politica? O invece si tratta di due facce di una stessa medaglia? Etimologicamente il suffisso "anti" - dal greco antì - individua uno stato di contrapposizione ad uno stato di fatto; quindi, secondo l'accezione che stanno tentando di accreditare (mistificandone la portata), dovrebbe significare un rifiuto della dimensione politica. Esattamente il contrario di quanto la piazza rivendica.
A questo punto ognuno dei due blocchi, rivendicando per sé l'"essere-politica", potrebbe "bollare" l'altro di "antipolitica".
Fino a quando ci sarà una demonizzazione dell'avversario, o meglio una contrapposizione in blocchi, con categorizzazioni imposte dalla classe dominante, non si farà un passo avanti.
La politica parte dal basso e il nostro stesso agire è "politica". E' dunque errato parlare di antipolitica e, ancor di più, affibbiare tale odioso appellativo a chi dimostra in ogni caso di essere portatore di istanze.
E infine, dalle piazze, un monito per i "professionisti" della politica (fermo restando che la politica non è una professione): la partecipazione democratica alla cosa pubblica e alla vita del Paese è un diritto intangibile (oltre che costituzionalmente garantito). Non paga chiudersi in una lobby impermeabile all'esterno per curare il proprio orticello. Aprire quanto più è possibile agli altri e condividere l'esperienza sono aspetti da curare ogni giorno. E soprattuto una consapevolezza: il "consenso" è un dato effimero, destinato a dissolversi in un lampo. Men che non si dica.
Quindi incominciamo ad essere "Politica" insieme. Davvero.
A voi la parola.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

*Ma quale antipolitica*

*Marco Travaglio*


A vedere i telegiornali di regime, cioè praticamente tutti, sabato a Bologna

e nelle altre piazze non è successo niente (molto spazio invece al

matrimonio di Baldini, l'amico di Fiorello). A leggere i giornali di regime

(molti), il V-Day è stato il trionfo dell'«antipolitica», del «populismo»,

del «giustizialismo» e del «qualunquismo». In un Paese che ha smarrito la

memoria e abolito la logica, questa inversione del vocabolario ci sta tutta:

la vera politica diventa antipolitica, la partecipazione popolare diventa

populismo, la sete di giustizia diventa giustizialismo, fare i nomi dei

ladri anziché urlare «tutti ladri» è qualunquismo.


E infatti, che il V-Day fosse antipolitico, populista, giustizialista e

qualunquista, lorsignori l'avevano stabilito prim'ancora di vederlo, di

sapere che cos'era. A prescindere. Non sapevano e non sanno (non c'erano)

che per tutta la giornata, in 200 piazze d'Italia e all'estero, migliaia di

giovani dei Meet-up grilleschi hanno raccolto 300 mila firme (ne bastavano

50 mila) in calce a una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede

il divieto per i condannati di entrare in Parlamento, il tetto massimo di

due legislature per i parlamentari e la restituzione ai cittadini del

diritto di scegliersi i propri rappresentanti sulla scheda elettorale. Cioè

hanno esercitato un diritto previsto dalla Costituzione, quello di portare

all'attenzione delle Camere tre questioni «politiche» quant'altre mai. E

l'hanno fatto con l'arma più antica e genuina di ogni democrazia: la

manifestazione di piazza.


Quella piazza che, quando la occupano Berlusconi e Bossi e Casini e Mastella

per chiedere cose incostituzionali, tutti invitano ad «ascoltare». E quando

la occupano un milione di persone senza etichette né bandiere (tante erano

mal contate, sabato, da Bologna a New York, se alle 20 i firmatari della

petizione erano 300 mila, altrettanti erano ancora in fila a mezzanotte e

molti di più avevano desistito per fare ritorno a casa) diventa un obbrobrio

da ignorare e rifuggire.


Mentre, nel V-Day after, riparto da Bologna per tornare a casa, chiamo Beppe

Grillo per commentare a mente fredda: lui mi racconta, ridendo come un

pazzo, che gli ha telefonato il suo vecchio manager, «Cencio» Marangoni, per

dirgli che a Villanova di Bagnacavallo c'è ancora la fila ai banchetti. E a

Villanova di Bagnacavallo sono quattro gatti, perlopiù di una certa età, e

chissà come han fatto a sapere che c'erano i banchetti visto che non l'ha

detto nessuna tv e quasi nessun giornale. Ma se a Villanova di Bagnacavallo

si firma ancora, forse questa non è antipolitica: questa è superpolitica. È

antipolitica difendere la dignità del Parlamento infangata dalla presenza di

24 pregiudicati e un'ottantina di indagati, imputati, condannati provvisori

e prescritti? È antipolitica chiedere di restituire la sovranità al popolo

con una legge elettorale qualsiasi, purchè a scegliere gli eletti siano gli

elettori e non gli eletti medesimi? È antipolitica pretendere che la

politica torni a essere un servizio che si presta per un limitato periodo di

tempo (dieci anni al massimo), dopodichè si torna a lavorare o, se s'è mai

fatta questa esperienza, si cerca un lavoro come tutti gli altri? È

antipolitica chiedere rispetto per i magistrati e dire grazie a Clementina

Forleo e ai giudici indipendenti come lei? Chi era a Bologna in piazza

Maggiore, o in collegamento nel resto d'Italia e all'estero, ha visto decine

di migliaia di persone restare in piedi da mezzogiorno a mezzanotte. Ha

sentito Grillo chiedere il superamento «di questi» partiti, i partiti delle

tessere gonfiate, dei congressi fasulli, delle primarie dimezzate (vedi

esclusione di Furio Colombo, Di Pietro e Pannella), della legge uguale per

gli altri; smentire di volerne creare uno nuovo; e rammentare che gli

«abusivi» da cacciare non sono ambulanti e lavavetri, ma politici e

banchieri corrotti o collusi. Un economista, Mauro Gallegati, spiegare i

guasti del precariato in un mercato del lavoro senza mercato e senza lavoro.

Un grande architetto come Majowiecki illustrare i crimini cementiferi che i

suoi colleghi seminano per l'Italia e per l'Europa con la complicità di

amministratori scriteriati, e le possibili alternative verso un modo

«leggero» di pensare e costruire città e infrastrutture. Alessandro

Bergonzoni spiegare la partecipazione democratica con una travolgente

affabulazione («Chi è Stato? Io sono Stato»). Un esperto di energie

alternative come Maurizio Pallante raccontare quel che si potrebbe fare nel

settore ambientale ed energetico al posto di inceneritori,

termovalorizzatori, centrali a carbone e treni ad alta velocità per le

mozzarelle. I ragazzi di Locri lanciare l'ennesimo grido di dolore dalla

Calabria della malavita e della malapolitica. Il giudice Norberto Lenzi

rischiare il procedimento disciplinare per avvertire che il berlusconismo è

vivo e lotta insieme a noi, anche a sinistra. Sabina Guzzanti prendere per i

fondelli la deriva fuffista e conformista dell'informazione. I genitori

familiari di Federico Aldovrandi raccontare, in un silenzio misto a lacrime,

la tragedia del figlio morto due anni fa durante un «controllo di polizia».

Massimo Fini tenere una lezione sul tramonto della democrazia

rappresentativa citando Kelsen, Mosca e Pareto. Il giornalista Ferruccio

Sansa sintetizzare la sua inchiesta sul «tesoretto» da 100 miliardi di euro

che lo Stato non ha mai riscosso dai concessionari, spesso malavitosi, dei

videopoker e altri giochi, una mega-evasione fiscale scoperta dal pm

Woodcock e dalla Guardia di Finanza, ma coperta da incredibili silenzi

governativi.


Alla fine ho parlato anch'io: ho ricordato Lirio Abbate minacciato dalla

mafia; ho cercato di spiegare che la tolleranza zero deve cominciare, come

nella New York di Giuliani, dai mafiosi e dai corrotti, non dai lavavetri e

dagli ambulanti; e ho difeso Cofferati, che avrà tanti difetti, ma non

quello di partire dai poveracci, visto che prima ha preteso legalità dagli

imprenditori sullo Statuto dei lavoratori. Ho fatto parecchi nomi e cognomi,

come tutti gli altri sul palco di piazza Maggiore. Ora scopro che fare i

nomi sarebbe «qualunquismo»: e parlare in generale per non dire niente,

allora, che cos'è?

Anonimo ha detto...

Dieci cento mille Piazza Maggiore

Anonimo ha detto...

V-Day

Anonimo ha detto...

UP UP UP UP UP UP

Anonimo ha detto...

E'politica usare l'aereo per andare al gran premio?
E' politica rinunciare ad andare a piedi per l'autoblu?
E le piazze sarebbero "antipolitica"?
... Ma fatemi il piacere!

Anonimo ha detto...

E' politica rivendicare la legalità ad ogni livello, quando in questo straccio di città anche chi sta al vertice si leva a difendere i parcheggiatori abusivi e a non muovere un dito per far sì che le cose girino nel modo giusto

Anonimo ha detto...

Politica è COINVOLGERE tutti alla partecipazione nella gestione della cosa pubblica.
Antipolitica è ESCLUDERE la gente da ciò che la riguarda

Anonimo ha detto...

Vorrei solo far notare una cosa.
La presenza del nostro blog passa in silenzio nell'opinione pubblica.
Addirittura, nonostante l'impegno nella diffusione della notizia della sua esistenza, c'è quasi un disegno sotterraneo da parte della stampa di non far trapelare alcuna notizia.

Anonimo ha detto...

Siamo stanchi di questo distacco impostoci da chi sta al potere. Travolti dall'egoismo più bieco, si ricordano di noi solo per le elezioni e non ci coinvolgono mai.
Se qualcuno "osa" criticare è bollato di antipolitica.
Se qualcun altro alza la voce per dire la sua, ecco levarsi l'insofferenza del politiconzolo di turno.
E per il resto si naviga a vista. FUITEVENNE